Unione Europea, Turchia e la frontiera dei diritti

altAlla vigilia del vertice a Bruxelles fra Unione Europea e il premier turco Davutoglu che entro il 18 Marzo dovrebbe produrre la firma di un accordo per fronteggiare la crisi dei rifugiati, la possibilità di un’intesa incontra non pochi ostacoli. Tra i 28 dell’Unione Europea sta circolando da giorni un no paper, cioè un documento non ufficiale, preparato dai servizi del presidente del consiglio europeo Donald Tusk su cui si legge che i rimpatri verso la Turchia saranno una “misura temporanea e straordinaria”. 

I migranti in arrivo “sulle isole greche saranno registrati e le richieste di asilo saranno trattate dalle autorità greche. I migranti che non richiedono asilo o la cui richiesta sarà dichiarata inammissibile” saranno rinviati in Turchia. In un primo momento l’Ue metterà a disposizione 54mila posti. “Se il numero di rimpatri sarà più alto, l’intesa sarà rivista”. Intanto le voci di dissenso sono cresciute a partire dalle associazioni umanitarie e ONG che giudicano l’accordo inaccettabile moralmente e legalmente. Allo stesso modo la pensa il ministro degli Esteri, José Manuel Garcia-Margallo, per il quale Madrid “si oppone radicalmente a qualsiasi espulsione di tipo collettivo”. Diverse le ragioni all’origine dell’opposizione di Cipro che mette il veto sull’apertura di nuovi capitoli negoziali per accellerare il processo di adesione della Turchia all’UE. Ma quali sono le aspettative della Turchia rispetto al vertice? Secondo Andrés Mourenza, giornalista di El País che vive a Instanbul, uno dei maggiori interessi del Premier turco è quello di portare a casa l’abolizione dell’obbligo del visto, che è un’antica aspirazione dei cittadini turchi, con la quale potrebbe garantirsi un certo consenso. D’altra parte, grazie all’accordo la Turchia potrebbe garantirsi il silenzio di Bruxelles sulla sua politica di repressione delle opposizioni. 

Secondo Mourenza la Turchia non si sarebbe servita dei rifugiati come arma, ma se si firmasse l’accordo potrebbe utilizzare il controllo del flusso migratorio per ricattare Bruxelles nel caso non adempisse alla parte scritta, e anche a quella sottointesa, del trattato. “Quello a cui si giungerà nei prossimi giorni – prosegue- sarà probabilmente una versione ritoccata dell’accordo in bozza. Progetto che comunque non funzionerà perché chi lo firma non ha la più remota idea di come funzionano i  flussi migratori, che velocemente individuano una via alternativa di fronte ai muri o all’aumento della vigilanza in uno Stato”.

Ricordiamo che, secondo la bozza d’intesa, l’Unione Europea sarebbe pronta, in contrasto con le sue leggi, a inviare i profughi in Turchia, Paese che nonostante abbia ratificato la Convenzione dei Rifugiati nel 1951, riconosce lo status di rifugiato solo ai cittadini europei. I siriani per esempio non ce l’hanno, ma ne hanno uno speciale, creato apposta per loro.  Bruxelles assicura che la Turchia sarebbe disposta a cambiare la limitazione geografica, ma difficilmente accadrebbe in tempi brevi.

Fra l’altro, sebbene secondo Mourenza dal 2015 la Turchia, sotto pressione degli Stati Uniti, abbia incrementato la vigilanza nei confronti del passaggio di foreign fighters e armi verso le postazioni dell’Isis in Siria, ha continuato ad appoggiare logisticamente le altre organizzazioni opposte a Bashar Al Assad. Fra queste i gruppi jihadisti come Jabhat al Nusra (il fronte Jabhat al Nusra – “fronte per il sostegno per il popolo di al-Sham”) e salafiti come Ahrar Sham (“Uomini liberi della Grande Siria”).

Sul fronte interno è innegabile che l’autoritarismo di Erdogan sia in crescendo e che la violazione dei diritti di base e delle libertà civili sia sempre più preoccupante, così come la guerra dichiarata nel sud-est del Paese a maggioranza kurda, dove città come Cizre e Dyarbakir sono da dicembre prigioni a cielo aperto. “Non mi stupirebbe se anche di fronte a questo- sostiene Mourenza- l’Europa venisse meno ai suoi principi ispiratori. Lo abbiamo visto nel passato, quando ha siglato accordi simili con Paesi ancora meno democratici della Turchia, come Libia e Marocco: di fronte alle esigenze della realpolitik i valori diventano carta straccia”. 

All’indomani dell’attentato terroristico ad Ankara (il terzo in pochi mesi), il presidente Erdogan ha annunciato che inasprirà ulteriormente l’azione contro il terrorismo, colpendo giornalisti e politici sospettati di favoreggiamento alle organizzazioni terroristiche. Sua volontà sarebbe anche quella di sospendere l’immunità parlamentare per gli esponenti dell’HDP (Partito Democratico del Popolo, filocurdo). Questa misura comunque deve essere votata in Parlamento, precisa Mourenza. “Nella politica turca lo spazio per le opposizioni è sempre minore, soprattutto perché, attraverso la repressione, la cooptazione o l’acquisto, si è garantito l’acquiescenza dell’80% dei mezzi di comunicazione e, pertanto controlla buona parte dell’informazione offerta all’opinione pubblica. Tuttavia bisogna dire che in Turchia, molto più che in qualsiasi altro Paese d’Europa, i giornalisti critici e gli oppositori esercitano con coraggio e ostinazione il loro mestiere nonostante tutti gli ostacoli”.

Erdogan ha vinto le elezioni di Novembre presentandosi come il leader forte in grado di garantire l’unità nazionale e la stabilità. Invece la Turchia è precipitata in uno dei momenti più neri della sua storia. Disgraziatamente il suo partito, secondo Mourenza, all’interno del quale prima esisteva un dibattito interno, si limita a eseguire gli ordini del leader. Erdogan ha tagliato fuori coloro i quali avrebbero potuto oscurarlo o avessero osato criticarlo, e in ogni caso nessun altro membro del partito ha a disposizione la macchina politica in grado di competere con lui. Nel frattempo sta riuscendo a cancellare i confini fra Partito, Amministrazione e Stato, per cui ha a disposizione ingenti risorse per mantenere il potere.

È a questo Paese che l’Europa stretta tra realpolitik, divisioni interne, avanzata dei populismi nazionalisti sta per affidare le chiavi dei propri confini.