F.V. , albanese, vive in Italia da dieci anni, essendovisi trasferita dall’Albania insieme al marito. Da lui ha avuto due figli che frequentano la scuola primaria con successo sia dal punto di vista didattico che relazionale. Il padre però li ha abbandonati da circa tre anni e non provvede in nessun modo al loro mantenimento, motivo per cui la donna si occupa della famiglia lavorando e supportata nella gestione dei figli dalla sorella, anch’essa immigrata in Italia insieme al fratello. Un esempio quindi di integrazione e radicamento nel nostro Paese, considerata anche la perfetta padronanza della lingua italiana della cittadina albanese.
La Questura di Roma però le aveva negato il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari. Contro questo provvedimento la cittadina albanese, difesa dagli avvocati Mario Angelelli e Cosimo Alvaro di Progetto Diritti, aveva fatto ricorso perché emesso in violazione del diritto all’unità familiare sancito dall’art. 8 CEDU. Il marito di lei è titolare di un permesso di soggiorno per lavoro subordinato e i suoi figli di un permesso di soggiorno per motivi familiari. È stata prodotta inoltre certificazione dell’idoneità dell’alloggio presso cui la donna e i bambini dimorano ma non prova del requisito reddituale richiesto dalla norma visto che il coniuge ha abbandonato la famiglia e probabilmente anche l’Italia.
La giudice Cristina Ciavattone del Tribunale Ordinario di Roma – Sezione Diritti della Persona e Immigrazione, ha pertanto negato il rilascio del permesso di soggiorno per coesione familiare accogliendo però la richiesta del rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, avanzata da legali in subordine. Nel farlo la giudice ha tenuto conto, oltre che del complesso di norme che regolano la materia, della situazione familiare della donna ai sensi dell’art.8 Cedu concernente il diritto al rispetto della vita privata e familiare, in presenza di legami personali e familiari particolarmente significativi in base alla loro durata nel tempo e alla loro stabilità.
“Il provvedimento impugnato – si legge nell’ordinanza – non ha tenuto in alcuna considerazione la sussistenza dei legami familiari della ricorrente in Italia, dove risiedono legalmente i suoi due figli minori che, allo stato, non hanno alcuna relazione con il padre”. “La ricorrente è quindi l’unico dei genitori che si occupa dei figli… minori che in caso di allontanamento della madre, si troverebbero a interrompere bruscamente il loro positivo percorso di integrazione… con conseguenze certamente pregiudizievoli per il loro sviluppo” Inoltre la giudice h ritenuto che il profondo radicamento in Italia della ricorrente e l’assenza di un qualunque legame con il Paese d’origine, siano ulteriori elementi che depongono per il rilascio di un titolo di soggiorno per ragioni umanitarie.
Se dovesse entrare in vigore il Decreto Sicurezza, sentenze come questa, che utilizzano il permesso di soggiorno per motivi umanitari per rimediare a una situazione di oggettiva ingiustizia, non sarebbero più possibili.