“Dopo tutto il tempo che abbiamo aspettato una piccola soddisfazione!” queste le prime parole di Ibra, il cugino di Diouf residente in Italia. “Mio cugino morto per mano di un uomo che non avrebbe potuto tenere un’arma. Tutti sanno che per essere poliziotto bisogna fare dei test psicoattitudinali, quindi a noi è sembrato semplicemente assurdo che l’uomo che ha ucciso mio cugino indossasse ancora una divisa e avesse un’arma!” continua Ibra.
Cheikh Diouf era stato ucciso il 31 gennaio del 2009 con un fucile da caccia dall’allora ispettore di polizia Morra. Quest’ultimo era stato condannato in via definitiva per omicidio preterintenzionale e giudicato seminfermo mentale perché affetto da un grave disturbo della personalità N.A.S. Ma oltre alla sua responsabilità individuale, gli avvocati di Progetto Diritti Santini e Angelelli, legali dei familiari, hanno chiesto e ottenuto che fosse riconosciuta una responsabilità del Ministero dell’Interno per omissione colposa, per aver consentito cioè a un soggetto con diversi precedenti disciplinari inquietanti, denunce penali, diagnosi di problemi psichiatrici, di possedere un’arma.
Seicentomila euro: questa la cifra che il Ministero dovrà versare alle due mogli, ai sei figli e alla madre di Diouf. “Il giudice ha deciso di non risarcire quanto chiesto – dichiara Ibra – C’è da considerare che Diouf ha lasciato una famiglia allargata e lui era il solo a occuparsi di tutto… Ora due dei suoi figli sono maggiorenni. Uno lavora come il padre (venditore ambulante) e l’altra frequenta il primo anno di Università. Speriamo che questo risarcimento aiuti la famiglia ad andare avanti e i suoi figli a sperare in un futuro migliore”. Dal Senegal anche il resto della famiglia di Diuof, tramite l’avvocato Malick Sall, esprime soddisfazione e sollievo per la sentenza tanto attesa e allo stesso tempo chiede che siano fatti tutti i passi necessari affinché il Ministero dia celermente attuazione alla richiesta del giudice, vista anche la condizione di grave precarietà in cui versano.
Sono passati quasi 10 anni da quella fredda mattina in cui l’ispettore Morra entrò nel cortile di Diouf imbracciando un fucile da caccia. “Diouf avrebbe potuto stare qui con noi ora se quell’uomo non avesse posto fine alla sua vita: è per questo che ho lottato in tutti questi anni a fianco dell’avvocato Santini, anche quando il resto della famiglia era ormai scoraggiato e non credeva più ci potesse essere giustizia. L’assassino di mio cugino è libero, e lo accettiamo se è questo che ha stabilito il giudice in base al fatto che hanno riconosciuto la sua seminfermità mentale. Ma almeno ora arriva un po’ di giustizia per tutto il dolore subito”.
Il cugino di Diouf conclude esprimendo gratitudine per gli avvocati e ricordando quanto all’epoca anche il sindaco del Comune di Civitavecchia fu vicino alla loro famiglia, fino a occuparsi personalmente della commemorazione funebre e delle spese per la salma. Diouf era un uomo molto conosciuto e amato nella sua città.