Silvia Calderoni è uno degli avvocati di Progetto Diritti che partecipa al processo Libra. L’abbiamo sentita per capirci qualcosa di più sulla vicenda, al di là del clamore mediatico.
Allora, avvocato Calderoni, cos’è il processo Libra?
«Allora, il processo prende le mosse da un esposto presentato nel 2013 dal medico siriano Jammo. Jammo, difeso da Alessandra Ballerini, si trovava sulla barca partita il 10 ottobre 2013 da Zuara e quando la barca comincia ad avere problemi fece varie chiamate col telefono satellitare per chiedere soccorso. Jammo si trovava con altre 270 persone, tutti siriani che lasciavano il paese a causa della guerra. Su questa barca c’erano diversi medici e 60 bambini».
Che cosa accade?
«Accade che nessuno interviene e nonostante le numerose chiamate di Jammo gli viene detto di rivolgersi alle autorità maltesi, che, sostengono le autorità italiane all’altro capo del telefono, sono le più vicine. Jammo comincia a telefonare a 12.26, la barca si ribalta alle 17.00. Per tutto questo tempo la Guardia Costiera e la Capitaneria di porto italiane ripetono: chiama Malta, la competenza è di Malta. Malta effettivamente si è attivata ma con estremo ritardo anche perché è noto che i mezzi a loro disposizione per controllare un’ area di ricerca e soccorso molto vasta sono insufficienti».
E la nave Libra?
«Ecco, infatti. A 17 miglia dal luogo del naufragio c’era invece una nave militare italiana – la Libra da cui prende nome il processo – che era l’imbarcazione più vicina e che sarebbe potuta intervenire prima ed evitare il naufragio, ma non lo fa. Nonostante le tante telefonate di Jammo, nessuno va a salvarli. La Libra interviene solo dopo essere stata avvistata dalle autorità maltesi e quando ormai è troppo tardi».
E quindi il risultato di questo capolavoro quale è?
«Accade che nel nome della retorica “deve intervenire malta altrimenti Malta non interviene mai”, il ritardo dei soccorsi provoca la morte di tantissime persone (di cui non sono neanche recuperati i corpi) e poi muoiono 60 bambini, una catastrofe».
Poi, il processo.
«La procura inizialmente non voleva farlo questo processo, tanto che in un primo momento era stata richiesta l’archiviazione con tanto di firma dell’allora Procuratore Capo di Roma, Pignatone. Poi ci sono state le intercettazioni pubblicate dall’inchiesta di Gatti sull’Espressoe un grosso impegno da parte delle difese delle vittime e dei loro familiari che hanno portato all’ordinanza di imputazione coatta del Gip Giorgianni. A oggi gli imputati sono solamente due, Licciardi e Manna, chiamati a rispondere di omissione di atti d’ufficio e omicidio colposo plurimo».
E come procede?
«A gennaio è stato finalmente aperto il dibattimento dopo anni di indagini. Tra le varie parti del processo ci sono Arturo Salerni e Mario Angelelli di Progetto Diritti (che rappresentano i familiari delle persone coinvolte), poi c’è Alessandra Ballerini da cui è partito tutto (e senza la quale, è bene dirlo, non si sarebbe mai stato il processo), Emiliano Bensi, Stefano Greco, e come associazioni costituite ci stanno l’Asgi e Progetto Diritti (difesa da me)».
Cosa si aspetta Progetto Diritti dal processo?
«È semplice, la verità. Cerchiamo, non dico una forma di giustizia, ma almeno la verità sul caso Libra».
Appuntamento il 16 febbraio con il proseguimento del dibattimento e ad aprile con le testimonianze delle parti civili.