fonte: meltingpot.org
E’ la conferma di quanto temevano oltre dieci mila persone che nei mesi scorsi hanno aderito alla Campagna Diritto di scelta per sollecitare il Governo ed in particolare il Ministro Cancellieri a rilasciare un permesso per motivi umanitari a tutti coloro che erano arrivati dalla Libia durante la guerra, indipendentemente dal paese di provenienza. Il Ministero dell’Interno non ha voluto accogliere la richiesta, ed oggi ci troviamo nella situazione in cui scongiuravamo di arrivare: dopo mesi e mesi di attesa passati nella precarietà e nell’assenza di progetti di inclusione, oltre che nella più totale disinformazione rispetto alla propria condizione giuridica, le Commissioni territoriali asilo hanno emesso il verdetto, nessun diritto di soggiorno e nessuna protezione per quasi tutti coloro che provengono da Nigeria, Niger, Ghana, Bangladesh, Senegal…
Cosa accade ora?
Accade che ogni migrante si trova a dover procedere individualmente di fronte all’esito della sua domanda, così come ogni amministrazione, ogni struttura, ogni cooperativa, ogni avvocato. In assenza di soluzioni collettive, o quantomeno di luoghi decisionali e di coordinamento tra istituzioni, ad ognuno di questi tocca decidere come affrontare una situazione di vera emergenza diritti, che pone problematiche molto serie, quali la permanenza irregolare, la fine delle misure di accoglienza, il rischio di detenzione, oltre che il rischio di subire un rientro forzato in un Paese abbandonato da anni per risiedere in Libia. L’ultima protesta dei richiedenti asilo accolti a Trento, dove un migrante si è procurato un taglio sulla gola dopo aver ricevuto il provvedimento di diniego della sua domanda di asilo, dimostra che la decisione della Commissione territoriale si pronuncia di fatto sul diritto alla vita o alla morte di queste persone.Un pezzo importante di questa partita si gioca sulla possibilità di proporre il ricorso contro le controverse decisioni delle commissioni territoriali. Di fatto il ricorso rappresenta, per molti dei molti dei “forzosi” richiedenti asilo a cui è già stato notificato il diniego, una strategia utile a spostare in avanti il momento della definitiva perdita dei diritti, di accoglienza e di soggiorno, oltre ovviamente alla speranza di veder ribaltata la decisione della commissione.
E’ quanto si sta facendo in molte città, dove su inziativa dei singoli enti gestori o delle amministrazioni che hanno coordinato il Piano, si stanno coinvolgendo difensori legali per depositare i ricorsi.
Ad esempio l’Assessore alle Politiche Sociali della Provincia di Bologna, sul cui territorio sono accolti circa 323 richiedenti asilo inseriti nel Piano di Accoglienza Nord Africa, ha sollecitato legali e sportelli di associazioni di Bologna a comunicare la propria disponibilità ad assumere il Gratuito Patrocinio per presentare il ricorso avverso “eventuali dinieghi”.E’ infatti di fondamentale importanza che venga impugnato il ricorso avverso il diniego, solo così è possibile la sospensione del decreto di espulsione congiunto all’esito negativo della Commissione, e il proseguimento dell’accoglienza (la Protezione Civile nei mesi scorsi ha stabilito che in caso di mancato ricorso, trascorsi 30 giorni dal diniego, la persona deve uscire dal luogo di ospitalità ed esser segnalata alla questura).
Di alcuni elementi è però opportuno prendere atto, dal momento che come bene sappiamo impugnare il diniego non è garanzia di riconoscimento della protezione internazionale.Innanzitutto, già lo stesso accesso al Gratuito Patrocinio non è per niente scontato, ci viene segnalato che alcuni Tribunali hanno richiesto certificati di nulla tenenza che dovrebbero essere ritirati addirittura presso le Ambasciate dei paesi di origine, a costi esorbitanti: un vero e proprio abuso dato che la normativa (art. 16 del DLvo 25/2008) prevede esplicitamente la possibilità di autocertificare i redditi all’estero. Altri Tribunali ancora, sembra, abbiano negato l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato dei richiedenti asilo provenienti dalla Libia per “manifesta infondatezza” dei loro ricorsi!
Ma non solo, il fatto stesso di dover proporre i ricorsi “lontani da i luoghi dell’accoglienza” già si presenta come un grosso onere per il difensore legale, che si trova a dover presentare ricorso in Fori anche lontanissimi da quello dove lavora, dal momento che il Tribunale competente è quello della provincia ove risiede la Commissione Territoriale che ha emesso il provvedimento. Ad esempio per chi è accolto nella regione delle Marche il Tribunale ove depositare il ricorso è quello di Napoli, il Tribunale di Torino per chi è accolto nella regione Toscana, per il Veneto le decisioni vanno impugnate dinanzi al Tribunale del FVG e così via. Questo significa che anche il ricorrente deve sostenere le spese del viaggio, e sorge il dubbio che gli vengano detratte dal già misero pocket money.
Ma soprattutto, preoccupante è il fatto che l’esito del ricorso è del tutto incerto, dal momento che nelle storie di moltissimi migranti non è possibile riscontrare elementi di natura persecutoria o di danno grave nel proprio paese d’origine (l’unico da considerare ai fini della protezione, secondo la Convenzione di Ginevra), mentre non sappiamo se troverà la giusta attenzione da parte dei Giudici il riferimento al pericolo – già totalmente ignorato dalle Commissioni territoriali in sede di audizione – subito durante la guerra in Libia né quello che, per assurdo, correrebbero se fossero forzatamente rimandati in quello stato – questo sì vero e proprio paese di fuga.
Un altro diritto da monitorare è la possibilità di poter svolgere attività lavorativa nelle more del ricorso, cosa che dovrebbe essere specificata sul permesso di soggiorno rilasciato. Sappiamo che alcune Questure rifiutano di riportare sul permesso per richiesta asilo la dicitura “attività lavorativa”, compromettendo ulteriormente il già precario percorso di integrazione. E non risulta che altre istituzioni (Comuni, Centri Impiego etc) si stiano preoccupando di fornire ai richiedenti asilo dichiarazioni che ne attestino la possibilità di assunzione regolare.
Ci troviamo ancora una volta in una situazione particolarmente disomogenea, dove la fortuna o la sfortuna possono avere un ruolo determinante per la vita delle persone, discriminandole. Se in alcuni territori si sono costituiti, o andranno a costituirsi, reti di collaborazione tra associazioni, studi legali ed enti locali per garantire al meglio il diritto alla difesa, in altre realtà geografiche i richiedenti asilo sono abbandonati a loro stessi, costretti a cercare da soli i difensori legali (nonostante i gestori di accoglienza in teoria siano pagati, secondo convenzioni, anche per fornire supporto e orientamento legale, cosa che pochissimi fanno seriamente).
Senza contare che i migranti collocati presso bed&breakfast e residenze alberghiere non hanno mai avuto contatti con operatori, e rischiano quindi di non essere informati circa la possibilità/necessità di presentare ricorso rispettando i termini.E’ una consuetudine questa, ma va problematizzata fino in fondo nei suoi effetti di disparità di trattamento nella garanzia della tutela legale e nel riconoscimento di un diritto costituzionale sancito anche da trattati internazionali. Sarebbe stato possibile garantire a tutti i 25mila migranti provenienti dalla Libia un diritto alla protezione umanitaria certa, lasciando la possibilità a chi lo desiderava di presentare domanda di asilo, ma il Governo ha scelto di lasciare ogni persona al proprio destino, impegnando cifre gigantesche per la macchina dell’accoglienza emergenziale affidata alla Protezione Civile, che in molti casi non è nemmeno riuscita a garantire un minimo di consulenza durante la presentazione delle istanze, e che ora si rivela un investimento a vuoto.
Come dicevamo, i ricorsi servono a strappare tempo al destino di irregolarità che attende queste persone, è tempo prezioso affinché enti locali, associazioni, enti gestori, operatori insistano ancora e più forte su una risposta politica alla domanda di futuro, di dignità e di pace che i migranti accolti in tutti i territori stanno manifestando. Una risposta politica che riconosca la necessità di garantire una protezione umanitaria, anche temporanea, come già fatto per i migranti arrivati dalla Tunisia prima del 6 aprile 2011. Una risposta politica che rompa la cortina di silenzio e disinteresse istituzionale calata da mesi sulla “gestione emergenziale” voluta nella primavera 2011 dal Ministro Maroni, dalle Regioni e altri enti.
Come lo scorso 20 giugno, anche quest’anno la Giornata Mondiale del Rifugiato verrà festeggiata nel pieno di una “emergenza” che, come afferma la portavoce dell’Acnur, non riguarda il numero degli arrivi, ma è piuttosto quella di decine di migliaia di ricorsi contro le decisioni delle Commmissioni Asilo che raggiungeranno i Tribunali di mezza Italia.
Trasformiamola invece in un’occasione per esigere che i migranti fuggiti dalla guerra in Libia un anno fa non siano spinti nell’irregolarità e in nuova miseria, oppure spediti verso paesi dove non vogliono tornare. Trasformiamola in un’occasione per applicare ed attualizzare il diritto di asilo, anziché solamente celebrarlo.