13.04.2012
Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza del 13 marzo 2012, dep. 2 aprile 2012, n. 12220
La Corte suprema di cassazione si è espressa, per la prima volta, circa l’impatto della cd. «direttiva rimpatri» sul sistema delle norme concernenti il divieto di reingresso dello straniero espulso nel territorio dello Stato.Con la sentenza del 13 marzo 2012, depositata il 2 aprile 2012, n. 12220, la Corte ha stabilito che l’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998 – nella parte in cui fissa in dieci anni la durata del divieto di reingresso nel territorio dello Stato per lo straniero che ne sia stato espulso – contrasta con la direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del consiglio, che ha acquisito diretta efficacia nell’ordinamento nazionale a partire dal 24 dicembre 2010.
In particolare, le norma interna sarebbe incompatibile con l’art. 11, par. 2, della citata direttiva, secondo cui la durata del divieto di ingresso non può superare i cinque anni. La fattispecie incriminatrice non può dunque essere applicata nei confronti degli stranieri i quali facciano ingresso nel territorio nazionale, senza autorizzazione, ad oltre cinque anni dalla loro espulsione. Nel caso di specie la Corte, chiamata a valutare una sentenza di condanna deliberata riguardo ad un rientro accertato nel marzo 2011, a carico di uno straniero espulso nel 2004, ha stabilito che il fatto non è previsto dalla legge come reato. La sentenza di condanna è stata annullata senza rinvio, ed è stata disposta l’immediata liberazione dell’interessato.Commento tratto da PenaleContemporaneo