Manuela Cartosio
Per pura coincidenza temporale, nel fritto misto del decreto anticrisi si trovano gomito a gomito due provvedimenti che riguardano la vita e il lavoro delle donne. Dopo tanti spintoni, cade il muro pensionistico dei 60 anni per le lavoratrici del pubblico impiego (il settore privato seguirà a ruota). Dopo il pacchetto sicurezza, incartato frettolosamente dal governo pur di dimostrare i suoi quarti di razzismo, c’è la regolarizzazione «selettiva» delle badanti, senza le quali l’italico welfare dal basso crollerebbe nel giro di 24 ore. Pur se involontaria, la coincidenza veicola un messaggio maligno.
Il diritto delle donne ad andare in pensione di vecchiaia prima degli uomini è storicamente scaturito dal lavoro riproduttivo e di cura da esse svolto gratuitamente a casa. Da una quindicina d’anni una fetta di questo lavoro familiare e domestico è stata «appaltata» alle immigrate. E’ passato, a costo contenuto, dalle spalle delle italiane a quelle delle straniere. Il loro arrivo in massa ha creato un nuovo lavoro, la badante, che prima non esisteva. Vi siete liberate del vostro fardello donnesco? Dunque, andate in pensione più tardi, recita il messaggio. Quantitativamente esagerato, perché non tutte le donne italiane hanno la colf o la badante. Ma non infondato e, quindi, urticante per le donne che hanno difeso il bastione dei 60 anni.
Dovrebbe interrogare tanto le donne che gli uomini lo scandalo della regolarizzazione «selettiva», concessa solo alle badanti. E le centinaia di migliaia di immigrati che fanno in nero il muratore, il facchino, il manovale, il pizzaiolo? Si impicchino, anche se sono in Italia da un pezzo, anche se da anni sono in lista d’attesa per ottenere il permesso di soggiorno con la lotteria dei decreti flussi. Il ministro Sacconi ha rivendicato a viso aperto la «selezione». C’è la crisi, ci occorrono solo «determinate figure professionali». Le badanti, appunto. «La serva serve», recita un vecchio adagio, meno ipocrita di Sacconi. La famiglia italiana è sacra, quella dei migranti un po’ meno. Il cattolicissimo Carlo Giovanardi, il sottosegretario alla famiglia che ha dato il là alla regolarizzazione «selettiva», deve pensare alla prima, non alla seconda.
E noi? Diciamolo francamente, ci siamo adeguati. Le obiezioni a un provvedimento che calpesta spudoratamente il principio di uguaglianza sono state fiacche e di routine. In un paese dove passano le brutture del pacchetto sicurezza senza che quasi si muova foglia, la regolarizzazione selettiva è sembrata a qualcuno un piccolo passo avanti, a qualcun’altro un male minore. «Dobbiamo pensare anche ai mariti delle badanti», hanno fatto presente le Acli. Il segretario della Cgil ha scritto una lettera a Berlusconi e ai presidenti di Camera e Senato per «suggerire» che sarebbe più «razionale e giusto» regolarizzare tutti. L’altro ieri Epifani ha detto che «non si rassegna» alla sanatoria selettiva. L’ha detto con un fil di voce: sa di non aver dietro la sua gente quando si tocca il tasto dolente degli immigrati. Resiste indomita, bollando come anticostituzionale il condono solo per le badanti, Emma Bonino. Senza offesa, conta come il due di picche. La proposta di legge bipartisan che in Senato chiede la sanatoria generalizzata ha raccolto una cinquantina di firme e non farà molta strada.
La regolarizzazione selettiva delle badandi istituzionalizza l’egoismo. Tra i migranti scegliamo noi quelli che ci fanno comodo. E cancella le fandonie che ci raccontiamo sui migranti che dovrebbero arrivare qui istruiti, professionalmente formati, parlanti un italiano fluente. No, li vogliamo soli e impauriti, senza un letto e un tetto. E che siano di sesso femminile, mi raccomando. Per aggirare l’ostacolo, nelle prossime settimane tanti immigrati si «fingeranno» badanti. Gente subdola e infida, sbraiterà la Lega.