Il caso Gelman: le atrocità del Piano Condor e la lotta instancabile per la verità

Maria Macarena Gelman,  parlamentare uruguayana del Fruente Amplio, è stata ascoltata ieri come testimone del Pubblico Ministero in una delle udienze del Processo Condor. Maria Macarena ha scoperto la sua vera identità a ventitre anni, grazie all’ostinazione e al coraggio di suo nonno Juan Gelman, poeta, scrittore e giornalista argentino, fra i maggiori poeti di lingua spagnola, scomparso due anni fa.

I genitori di Maria Macarena, Marcelo Ariel Gelman, vent’anni, e sua moglie Maria Claudia Garcia Irueta Goyena de Gelman di diciannove anni e incinta di sei mesi, furono sequestrati nel loro domicilio a Buenos Aires il 24 agosto 1976. Furono portati nell’Automotores Orletti, dove Marcelo fu torturato. Fu ucciso con un colpo di pistola alla nuca e i suoi resti furono gettati, inesime a quelli di altri otto prigionieri,  nelle acque del Canal San Fernando in un bidone riempito con cemento e sabbia. Furono ritrovati dopo oltre tredici anni nel cimitero della località San Fernando, in una tomba anonima. Maria Claudia invece, fu trasferita a ottobre, incinta di 8 mesi nel carcere clandestino che il SID (Servicio de Información de Defensa) dell’Uruguay aveva realizzato in uno dei suoi locali, a Montevideo.

Il centro clandestino di detenzione Automotores Orletti era un’officina meccanica. Al piano di sopra c’era una sala per gli interrogatori e una per le torture. Questo centro è stato il primo in Argentina a essere utilizzato dai servizi di intelligence dell’operazione Condor, come prova l’alto numero di prigionieri uruguayani sequestrati in Argentina e poi resi legali in Uruguay e i rapporti documentati fra questo centro e numerosi ufficiali cileni e uruguayani.

E tutta la vicenda legata alla storia di Maria Macarena Gelman è emblematica del funzionamento dell’Operazione Condor. Lei ha incontrato per la prima volta i suoi nonni nel 2000 dopo una lunga ricerca condotta grazie alle testimonianze di sopravvissuti uruguayani, ex-repressori, esponenti della società civile di Argentina e Uruguay, oltre alla mobilitazione di migliaia di cittadini, artisti, intellettuali (fra cui anche premi Nobel) di oltre 100 paesi del mondo che avviarono una campagna internazionale.

Dalle testimonianze di alcuni ex repressori è emerso che gli scambi fra i repressori uruguayani e argentini di Orletti erano frequenti. Maria Claudia è stata oggetto di uno di quegli scambi, e molti bambini furono mandati da Orletti in Uruguay. Maria Macarena  fu lasciata in una cesta sull’uscio di casa di un ex-commissario uruguayano che nel 1995 divenne Capo della Polizia di San Jose. Un personaggio importante che godeva di molto appoggio politico nel Partido Colorado e da questi e da sua moglie registrata all’anagrafe e cresciuta come figlia. Al ritrovamento di Maria Macarena e anche all’identificazione dei responsabili dell’uccisione di sua madre e di molti altri crimini commessi nell’ambito dell’Operazione Condor, si è arrivati dopo un cammino lungo, faticoso. Un cammino che si è scontrato con il muro di silenzio che la dittatura ha costruito in quei Paesi. Un muro eretto grazie a pratiche clandestine, occultamento e soppressione dei documenti, l’identità camuffata dei rei di omicidio, la sparizione dei corpi delle vittime, le leggi assolutorie e gli indulti approvati dai governi civili, che perpetuano le impunità distruggendo energie democratiche. Su quelle società pesa ancora una cappa di piombo fatta di paura,  che solo l’ostinata ricerca di verità e giustizia può finalmente sollevare.