Progetto Diritti condanna fermamente la gravissima aggressione attuata dal regime turco di Recep Tayyip Erdogan contro la popolazione di Afrin. Morti fra i civili, strade deserte, bambini terrorizzati: Afrin potrebbe diventare una nuova Kobane.
Il 21 gennaio 2018 ha preso il via una battaglia terrestre nella città di Afrin, un’enclave kurda nel nord della Siria, dopo più di 24 ore di feroci bombardamenti a opera delle truppe dell’Esercito Siriano Libero (FSA) guidato dalla Turchia. È l’operazione battezzata paradossalmente da Erdogan “Ramo d’ulivo”. La propaganda turca la definisce un’operazione per portare amicizia e fratellanza e liberare le popolazioni del nord della Siria dall’oppressione dei gruppi kurdi legati al PKK. Ma i bombardamenti e gli attacchi con carrarmati Leopard 2A4 sono determinati dalla volontà del regime turco di distruggere il progetto del confederalismo democratico del Rojava e soffocare ogni possibilità di legittimazione a una situazione di fatto che vede già il 30% del territorio siriano liberato dai kurdi e 700 km su 911 del confine turco-siriano controllati dalle Unità di Protezione del Popolo (YPG eYPJ). In un comunicato lo stato maggiore dell’esercito turco ha anche sottolineato che l’operazione Ramo d’ulivo verrà condotta nel rispetto dell’integrità territoriale della Siria, colpendo sia bersagli appartenenti alle YPG che allo Stato islamico. Facile smentire anche queste affermazioni, considerata l’assenza di milizie dell’Is nella regione.
Lo Stato Turco teme che la costituzione di uno stato kurdo indipendente nel nord della Siria possa avere un effetto spillover sul sud est della Turchia. Inoltre vuole evitare l’istituzionalizzazione delle Syrian Democratic Forces (di cui fanno parte i kurdi). Questa la ragione dell’attacco ad Afrin come dell’operazione Scudo dell’Eufrate, iniziata nell’agosto 2016 e conclusasi agli inizi del 2017.
Né Afrin, né le altre regioni del nord della Siria hanno mai minacciato di attaccare la Turchia. Da tempo invece l’esercito turco minaccia e attacca quei villaggi che sono enclave kurde perché liberate dall’oppressione dei miliziani di Daesh grazie alla resistenza di YPG e YPJ. Nella lotta contro l’Isis il popolo kurdo ha supportato la perdita di migliaia di giovani uomini e donne. Anche per questo è doveroso da parte della Comunità internazionale oggi garantire la sicurezza di Afrin e fermare le aggressioni turche. Gli attacchi degli ultimi giorni potrebbero diventare il preludio a una nuova tragedia umanitaria, con innumerevoli morti e la deportazione delle popolazioni locali dai villaggi sotto attacco. Occorre al più presto formare delle zone di sicurezza nel nord della Siria sia a est che a ovest dell’Eufrate. Ad Afrin non vivono solo kurdi, ma vi sono rappresentate tutte le popolazioni della Siria, senza contare che questa città ha accolto così tanti rifugiati siriani negli ultimi anni da raddoppiare la sua popolazione. Gli attacchi della Turchia si rivolgono contro l’intero popolo siriano e il silenzio della comunità internazionale legittimerebbe una pesante violazione dei diritti umani fondamentali.
Noi di Progetto Diritti siamo accanto alla resistenza di Afrin che sabato è scesa in piazza sotto la pioggia per ribadire l’intenzione di salvaguardare la rivoluzione in corso nel Rojava, il suo obiettivo politico e inclusivo. Siamo accanto alle tanti parti della popolazione siriana che si sono unite volontariamente ai combattenti e alle combattenti kurde. L’attacco massiccio contro i pacifici cittadini di Afrin è uno spudorato atto di aggressione contro una regione democratica e la sua popolazione.