E’ discriminatorio escludere gli stranieri dall’impiego nelle imprese del trasporto pubblico
Storica sentenza del Tribunale di Milano: deve ritenersi implicitamente abrogato il Regio Decreto n. 148 del 1931 che prevede il requisito della cittadinanza italiana per l’impiego nelle imprese del trasporto pubblico.
Il Tribunale di Milano, sez. lavoro, in composizione collegiale, ha accolto il reclamo proposto da un cittadino marocchino, sostenuto dall’ASGI e dall’Associazione Avvocati per Niente ONLUS, affinchè venisse dichiarato discriminatorio il comportamento dell’impresa del trasporto pubblico urbano di Milano (ATM spa), la quale aveva disposto una selezione di candidati a diverse posizioni di lavoro (elettricisti, autisti, meccanici,…) prevedendo il requisito della cittadinanza italiana o comunitaria in ossequio alle norme risalenti al R. D. n. 148 del 1931 (norme sulle corporazioni).
Il ricorso del cittadino marocchino era stato respinto in primo grado dal giudice del lavoro, che aveva eccepito la mancanza dell’interesse ad agire del ricorrente, in quanto questi non aveva presentato una formale istanza per partecipare alla selezione dei candidati alle posizioni lavorative.
Secondo il collegio del Tribunale di Milano, tale motivazione è infondata in quanto il fatto in sè che l’azienda dei trasporti milanese abbia indetto una pubblica offerta di lavoro vincolandosi a selezionare soggetti in possesso tra l’altro del requisito della cittadinanza italiana o comunitaria, ha fatto sì che la possibilità del ricorrente di accedere a tale selezione non solo è stata scoraggiata, ma anche effettivamente preclusa, con ciò determinando il realizzarsi del comportamento discriminatorio. Il collegio giudicante si è richiamato tra l’altro alla giurisprudenza della Corte di Giustizia europea, che nel noto caso Feryn (sentenza dd. 10 luglio 2008 , causa C-54/07) ha sostenuto che una discriminazione vietata dalla direttiva europea n. 2000/43 (direttiva “Razza”) si realizza anche laddove un datore di lavoro dichiari pubblicamente la sua “intenzione” di assumere solo lavoratori di una certa nazionalità.
Nel merito della controversia, il collegio giudicante del Tribunale di Milano ha ritenuto che le norme contenenti la clausola di cittadinanza di cui al R.D. n. 148/31 devono ritenersi implicitamente abrogate per effetto dell’art. 2 comma 3 del D.L.vo n. 286/98, che afferma il principio di parità di trattamento tra lavoratori migranti regolarmente soggiornanti e lavoratori nazionali, in ossequio alle norme di cui alla Convenzione OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) n. 143/1975, ratificata in Italia con legge n. 158/1981. Richiamandosi al precedente della giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 454/1998), il collegio giudicante di Milano ha affermato che il principio della parità di trattamento deve essere inteso come applicabile non solo con riferimento ai rapporti di lavoro già in essere, ma anche nella fase di accesso al lavoro e dunque, nelle procedure di offerta di lavoro e selezione dei candidati. Secondo il Tribunale di Milano, dunque, le norme di cui alla Convenzione OIL prevedono quale unica deroga al principio di parità di trattamento, quella relativa all’accesso alle posizioni lavorative ove ricorra un “interesse dello Stato” a precludere l’accesso ai lavoratori di paesi terzi in relazione all’esercizio di pubblici poteri inerente alle posizioni lavorative medesime.
A tale riguardo, il collegio giudicante del Tribunale di Milano afferma che le imprese del trasporto pubblico urbano ed interurbano sono a tutti gli effetti società per azioni e dunque non sono datori di lavoro pubblici, nella definzione di cui alla legge n. 165/2001 e, pertanto, i rapporti di lavoro in seno ad esse hanno natura privatistica. Per tale ragione e tenuto conto anche di un criterio di ragionevolezza in relazione alla natura delle mansioni relative alle posizioni di lavoro selezionate, tra cui quella di interesse del ricorrente di operaio elettricista, si deve certamente escludere che vi sia una qualunque esigenza pubblicistica a limitare l’accesso al lavoro in tali imprese ai soli lavoratori di nazionalità italiana o comunitaria.
Il Tribunale di Milano ha dunque ordinato all’ATM spa di Milano di cessare il comportamento discriminatorio e di rimuovere il requisito di cittadinanza nelle procedure di offerta di lavoro e di selezione del proprio personale.
L’ordinanza del Tribunale di Milano pone sperabilmente fine ad un’annosa questione che l’ASGI aveva posto già nel corso del 2007 con un proprio appello alle organizzazioni sindacali e padronali di categoria. Tale appello era stato raccolto anche dall’UNAR (Ufficio Nazionale Anti-Discriminazioni Razziali), che aveva diffuso un proprio autorevole parere nella direzione ora raccolta dai giudici milanesi.Il testo dell’ordinanza del Tribunale di Milano, sezione lavoro dd. 20 luglio 2009
Il testo dell’appello promosso dall’ASGI (newsletter progetto Leader No Discriminazione n. 7/2007)
Il testo del parere redatto dall’UNAR (newsletter progetto Leader No Discriminazione n. 11/2007)
Il testo del ricorso inoltrato al giudice del lavoro di Milano