Si è conclusa giovedì 9 febbraio, presso l’Hotel Nazionale di Piazza Montecitorio a Roma, la Tavola Rotonda “Strategie per ridurre e porre fine alla detenzione amministrativa degli stranieri in Italia”, a cui hanno preso parte le associazioni European Alternative to Detention Network, CILD, KRIOL Stidio Legale, Internationale Detention Coalition, Progetto Diritti Onlus, MOSAICO- Azioni per i rifugiati e PICUM.
Al centro della discussione, il tema dei centri per la detenzione amministrativa, definiti dal presidente di CILD e membro di Progetto Diritti Arturo Salerni “zone grige, non fornite delle garanzie di carattere processuale né di quelle sul sistema penitenziario, luoghi senza diritti dove regna arbitrio, tanto che come parametro positivo di riferimento si considerano le carceri”.
Per l’avvocato Salerni, il punto più problematico è strutturale, e consiste “proprio nel fatto che sia concepito un luogo di detenzione amministrativa in una civiltà giuridica”.
Alternative alla detenzione amministrativa: il case management
Nel corso della mattinata si è colta l’occasione per parlare delle alternative alla detenzione amministrativa, tra le quali rientra il progetto di Progetto Diritti “ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE – Verso un approccio più umano della gestione della migrazione”, finanziato dai fondi dell’8X1000 della Chiesa Valdese.
“Il progetto- ha spiegato Eva Tennina- è rivolto a persone ancora in libertà ma senza permessi regolari, che intercettiamo grazie al nostro sportello di informazione e assistenza legale a Roma. I criteri sono mancanza permesso soggiorno e volontà di avere parte attiva in percorso. Si tratta di persone con passati migratori molto diversi, che al momento hanno dai 19 ai 68 anni e provengono da quattro continenti diversi: alcuni sono senza nazionalità, altri sono nati in Italia ma non sono mai regolari, altri ancora hanno perso il permesso soggiorno con il compimento della maggiore età”.
L’approccio di cui si avvalgono le operatrici di Progetto Diritti è quello del case management, applicabile a situazioni diversificate: “Quello che avviene innanzitutto- ha spiegato ancora Eva Tennina- è che ci siano dei colloqui con un’équipe di operatori socio legali che diventano il punto di riferimento per le persone, che spesso hanno totalmente perso fiducia nel sistema”. Ciò che accade dopo, dipende da caso a caso: “Alcune persone sono subito molto aperte e collaborative e subito ci permettono di individuare i punti su cui intervenire. Per altri la questione è più complicata e possono passare mesi: a maggior ragione in questi casi è importante dare alle persone la possibilità aprirsi per far emergere i vari elementi”.
Eva Tennina ha spiegato come ultimamente si sia verificato un accentuarsi di casi di persone “con evidenti vulnerabilità, con importanti patologie fisiche e grossi problemi psicologici, motivo per cui ci siamo concentrati sul rafforzamento della rete di intervento per attivare i servizi che permettano una presa in carico completa, per esempio attivando ambulatori e intervenendo con le Asl. Poi si lavora sul tessuto sociale per un miglioramento della stabilità della persona: una rete di intervento di questo tipo ci porta ad avere le prove necessarie dal punto di vista legale, per poter accedere alla richiesta del permesso soggiorno”.
Ad oggi già 66 persone seguite hanno ottenuto il permesso, altrettante sono a buon punto con l’iter burocratico. Questo dimostra che “molte persone che nutrono la platea di ‘irregolari’ senza permesso in realtà hanno i requisiti per il soggiorno”.
Lo step successivo del case management è “procurarsi i documenti necessari (come certificati di nascita, certificati medici o prove di altro tipo) per dimostrare che la persona si è integrata. Spesso incontriamo enormi difficoltà nei rapporti con gli uffici pubblici competenti ed è qui che gli operatori di Progetto Diritti sono più occupati”.
I cpr in Italia
L’approccio del case management rappresenta un’alternativa ai luoghi di detenzione amministrativa, i cpr, di cui pure si è molto parlato nel corso della mattinata: “Oggi in Italia ce ne sono 10 per una capienza complessiva di 1800 persone. L’ex ministro dell’Interno Minniti aveva previsto un centro per ogni regione, ma ad oggi alcune regioni hanno più di un cpr mentre altre nessuno. Negli ultimi mesi il Governo ha stanziato più soldi del 2022 per i cpr e c’è stata un’apertura anche da parte di alcuni amministratori locali, come il sindaco e il prefetto di Firenze”. Durante la Tavola Rotonda è stato fatto notare che si tratta di “centri di detenzione amministrativa gestiti da privati: la Prefettura appalta la gestione di questi luoghi a società con scopo lucro” e si è citato un rapporto CILD da cui “emerge che, guardando le graduatorie, i vincitori degli appalti sono sempre gli stessi. Negli ultimi anni compaiono anche multinazionali, alcune delle quali contestate”.
Sono luoghi, si è ribadito nel corso del convegno, su cui si è creato “un velo opacità e in cui associazioni e giornalisti fanno fatica a entrare”.