Denuncia lo stupro e finisce al Cie Storia di Adama, donna e clandestina

Una senegalese in Italia dal 2006 derubata, aggredita e ferita: “Senza documenti regolari non potrai cercare aiuto”, le diceva il compagno che la picchiava. “Ridatele la propria vita, liberatela” chiede Migranda nella giornata contro la violenza
di ILARIA VENTURI da www.repubblica.it del 25.11.2011
Quando ha chiamato i carabinieri per denunciare di essere stata derubata, stuprata e ferita alla gola dal suo ex compagno le hanno controllato i documenti. E poiché non aveva le carte in regola, l’hanno rinchiusa al Cie, il centro di identificazione ed espulsione, di Bologna. È la storia di Adama, donna migrante arrivata in Italia nel 2006, lasciando quattro figli in Senegal da mantenere. La storia che nella Giornata contro la violenza alle donne le associazioni Migranda e Trame di Terra denunciano a gran voce: “Una doppia violenza come donna e come migrante”. Con un appello, che corre in rete (www. migranda. org), a tutte le donne e alle istituzioni cittadine: “Liberate subito Adama dal Cie, concedetele un permesso di soggiorno che le consenta di riprendere in mano la propria vita”.
Adama è finita al Cie di via Mattei il 26 agosto scorso. Prima ha vissuto a Forlì, lavorando come operaia nell’attesa di ottenere il permesso di soggiorno. Un suo connazionale le ha trovato casa, è diventato il suo compagno, ma ben presto l’uomo, nel racconto drammatico della donna che parla la lingua wolof, si trasforma nel suo aguzzino. Che usa la legge Bossi-Fini come ricatto. “Mi picchiava con schiaffi, pugni e percosse quotidiane, e mi ripeteva fino all’ossessione che il mio essere clandestina mi avrebbe impedito di cercare aiuto”, le parole della donna raccolte nella denuncia, accompagnata dal ricorso contro la sua espulsione, che l’avvocato ha presentato dopo essere riuscito parlare con lei al Cie, insieme ai medici e a un interprete.
Una richiesta di incontro, presentata dopo che la storia della donna è arrivata al Coordinamento migranti, alla Prefettura il 16 settembre. E accordata solo il 25 ottobre. “Ogni giorno lì dentro per Adama è un giorno di troppo – protestano le associazioni – per quattro anni Adama è stata derubata del suo salario, ha subito violenze da un uomo che ha usato la sua clandestinità come arma in suo potere. Quando ha dovuto rivolgersi alle forze dell’ordine, l’unica risposta è stata la detenzione”.
Gli stessi medici nella perizia scrivono: “La sua compromessa situazione psicologica non è compatibile con la sua permanenza al Cie”. È il dramma dei clandestini. “La Bossi-Fini obbligando le questure ad eseguire le espulsioni fa sì che le persone vittime di reato non possano esercitare i loro diritti nel processo, garantendo impunità ai criminali”, spiega l’avvocato. È il dramma di Adama. Di fronte al quale non si può tacere.