Di Vittorio Caligiuri
La presa del potere da parte di un “consiglio militare di transizione” a seguito dell’uccisione del presidente Deby, il 20 aprile scorso, non ha tardato a suscitare le proteste della popolazione, che sono state represse nel sangue. In uno dei paesi più poveri del mondo, preso in ostaggio tra conflitti regionali e pratiche neo-coloniali, i manifestanti chiedono la fine delle ingerenze francesi ed europee. Nel frattempo, proprio il mese scorso, l’Italia ha inviato le sue truppe nel paese.
La politica ciadiana e la presenza militare straniera
Difficile dire quante persone siano state uccise dalle forze di sicurezza intervenute per reprimere le manifestazioni di protesta che hanno interessato nei giorni scorsi il Ciad ed in particolare N’Djamena, la sua capitale. Al 30 aprile erano almeno 700 le persone arrestate, secondo le Nazioni Unite[1]. Quel che è certo è che diffuso è stato l’uso di armi da guerra da parte delle forze di sicurezza[2]. Le proteste sono state motivate dalla presa del potere da parte di un autonominatosi Consiglio Militare di Transizione guidato dal generale Mahamat Idriss Deby, figlio dell’ex presidente Idriss Deby, morto a seguito delle ferite riportate in un attacco delle forze ribelli condotto nel corso di una visita del presidente alle forze armate ciadiane – le dinamiche non sono state del tutto chiarite – impegnate al confine con la Libia contro il Fronte per il Cambiamento e la Concordia in Ciad (spesso indicato come FACT). In maniera tutt’altro che sorprendente, però, i manifestanti hanno scandito slogan contro l’ingerenza straniera nel paese[3], ritenuta elemento determinante nelle sorti della politica e dell’economia nazionali[4]. Elemento, quest’ultimo, trascurato dalla stampa internazionale e che qui si intende approfondire.
Al potere da più di trent’anni, Deby prese il potere nel 1990 con un colpo di stato condotto contro il suo predecessore, Hissène Habré, per divenire da allora uomo chiave della presenza francese in Sahel. Il Ciad, poco dopo il raggiungimento dello status di paese indipendente, nel 1962, è stato interessato da una violentissima guerra civile combattuta tra il 1965 ed il 1996, la quale, a partire dal 1978 vide il diretto coinvolgimento della Libia, della Francia e di altri stati occidentali. Infatti, nel 1975 la presa della capitale da parte delle forze ribelli, guidate proprio da Habré, determinò la dissoluzione de factodello stato Ciadiano, assestando un duro colpo alla presenza francese nella regione, il cui ruolo era, nel particolare contesto dell’epoca, votato al mantenimento dell’ordine pregresso ed in particolare proprio della Libia di Gheddafi. Il conflitto Ciadiano conobbe conseguentemente un notevole grado di internazionalizzazione: sia la Libia che la Francia, ed in secondo luogo altri paesi occidentali – tra i quali gli Stati Uniti – offrirono supporto logistico ed armamenti alle differenti fazioni impegnate nel conflitto, intervenendo più volte direttamente nei combattimenti. Le forze armate francesi intervennero a sostegno di Habré, considerato capo del legittimo governo Ciadiano, nel 1978, nel 1983 e nel 1986; lo stesso fece nel medesimo periodo la Libia, organizzando quattro differenti interventi militari nel medesimo periodo.
Nel 1986 la guerra, la cui importanza sullo scacchiere internazionale e regionale risulta chiara non appena si consideri il contesto del periodo, conobbe una svolta quando la maggior parte dei gruppi combattenti ciadiani si unirono, in un repentino rovesciamento della situazione, contro le forze libiche. Iniziò in questa fase quella alla quale ci si riferisce solitamente come la “guerra delle Toyota”. E proprio nel 1986 aveva avuto inizio l’Opération Épervier, la quale prevedeva l’intervento diretto dell’esercito e dell’aviazione francese contro le forze libiche – decisivo per l’esito del conflitto – e la loro stabile presenza nel paese: l’Opération Épervier si è conclusa solamente nel 2014, per essere prontamente sostituita dall’ Opération Barkhane. Proprio alla presenza delle truppe francesi è da ricondurre la presa del potere da parte di Debry nel 1990, il quale sarebbe stato sostenuto proprio dai servizi segreti della République, il DGSE. Hebré, finita la guerra fredda sarebbe diventato figura scomoda per i francesi per via dei numerosi crimini compiuti nel corso del conflitto. Questi, a sua volta, al fine di mantenere il proprio potere, avrebbe cercato supporto negli americani, ponendo in dubbio la continuazione della presenza de l’Armée française nel paese.
Non solamente la presidenza del presidente Debry è stata marcata dalla presenza delle truppe francesi nel paese durante tutto il periodo della sua presidenza, ma le politiche seguite dal paese nel corso della sua presidenza risultano essere marcate dalla più assoluta concordanza con le priorità della politica della Francia nella regione. Un sostegno, quello della Francia, che, stando a quanto dichiarato dallo stesso ex-presidente, avrebbe soverchiato lo stesso Debry: in un’intervista rilasciata a TV5 Monde, a Radio France International il 25 maggio 2017 questi ha affermato che proprio la Francia sarebbe stata artefice della modifica della costituzione che gli permise di rimanere al potere dopo il 2006, in un contesto marcato da profonda instabilità e dalla presa della capitale da parte dei ribelli[5]nel contesto della nuova guerra civile che ha interessato il paese tra il 2005 ed il 2010, l’ex-presidente – il quale probabilmente per propri interessi politici ha cercato di mostrarsi come la vittima di una manovra nei confronti della quale, con ogni probabilità, nutriva minore contrarietà di quanto non abbia affermato (come del resto dimostrato dalla partecipazione alle elezioni del 2020) – rimaneva la migliore garanzia per il mantenimento degli interessi francesi ed il controllo dell’area[6].
Le forze armate del Ciad sono infatti quelle di maggiore entità tra quelle dei paesi facenti parte del G-5 Saheliano, un coordinamento formato nel 2014 – anno in cui si è conclusa l’Operation Épervier –le cui competenze sono relative al coordinamento delle politiche di sviluppo e, soprattutto, delle iniziative militari di Mauritania, Mali, Burkina Faus, Niger e, ovviamente, Ciad, finalizzate al mantenimento del controllo della regione, in un contesto marcato dalla forte presenza di gruppi armati. Importantissima per il G-5 è la partnership strategica con la Francia e l’Unione Europea, le quali sono presenti nella regione con l’Operazione Barkhane e la Task Force Takuba. La Francia anche in questo caso svolge un ruolo di guida: Barkhane è seguita nel 2014 all’Operazione Serval, e prevede tra le altre cose lo stazionamento di alcuni dei 5000 uomini delle forze armate francesi coinvolti, nelle vicinanze di N’Djamena. Queste, insieme a contingenti di altri paesi europei, sono impegnate in missioni di combattimento; la Task Force Takuba, anch’essa a guida francese[7]è invece una missione composta da personale delle forze speciali dei paesi europei.
Nel più completo silenzio dei media italiani, il Parlamento ha approvato nel luglio scorso il “Decreto Missioni 2020” il quale prevedeva la partecipazione italiana a tale missione[8], senza che tuttavia si procedesse all’invio di personale militare[9]. Invio e l’impiego di soldati delle forze speciali italiane in Ciad e nel Sahel che è invece stato uno dei primi atti del governo Draghi – circa 200 soldati, 20 veicoli terrestri ed 8 velivoli, tra cui elicotteri per l’attacco al suolo “Mangusta”[10]. La motivazione di tale impegno militare va ricondotta alla strategia di esternalizzazione delle “frontiere” dell’UE che già tante vittime ha fatto in Niger a partire dal 2015: come dichiarato nel 2019 dal viceministro Del Re e ribadito dal Generale Graziano in un’intervista a Repubblica “il Sahel è la vera frontiera meridionale d’Europa”[11].
Flussi migratori, sfruttamento delle risorse e speculazione in uno dei paesi più poveri del mondo
Le attività di cooperazione internazionale che ormai sono diventate accessorio abituale delle iniziative di politica estera dell’EU hanno fatto ben poco per modificare la realtà di quello che è uno dei paesi più poveri del mondo, la cui indubbia importanza agli occhi europei è costituita da questioni di stabilità regionale e dall’essere attraversato da quella cui solitamente si fa riferimento alla famigerata rotta del Mediterraneo centrale, quella che attraversa la Libia – nonché come si vedrà più avanti da questioni di carattere economico. In tal senso, il Ciad è uno dei tasselli di quella politica di respingimento, illegale ai sensi delle stesse normative europee ed internazionali, messa in atto dall’Unione in spregio a qualsiasi considerazione delle vite e dei diritti dei migranti – come ancora una volta tragicamente dimostrato tra il 21 ed il 22 aprile, quando oltre 130 persone sono state intenzionalmente, o quantomeno consapevolmente, lasciate affogare al largo della Libia.
Tra gennaio e febbraio 2021, secondo i dati dell’OIM, 575 874 migranti sono stati identificati in Libia. Di questi il 15% provenivano dal Ciad, tuttavia, sicuramente di molto maggiore è il numero di coloro che per il paese saheliano sono transitati. In generale risulta rilevante notare come coloro che percorrono la rotta del mediterraneo centrale provengano per la maggior parte proprio dai due paesi del G-5 Saheliano, Ciad e Niger (il 21% di coloro che sono stati identificati), nei quali sono state investite le maggiori somme da parte dell’UE per operazioni militari, in cooperazione internazionale e per attività direttamente connesse con il contenimento dei migranti. Gli altri paesi di provenienza sono Egitto (18%) e Sudan (15%)[12].
Sebbene la storia recente del Ciad sia di per sé sufficiente a spiegare come mai quote crescenti della popolazione avvertano la necessità di migrare, al fine di comprendere quale sia la realtà di un paese e di una regione che in cui il grado di coinvolgimento delle forze armate, delle istituzioni e delle imprese europee è inversamente proporzionale all’attenzione che a questi viene dedicata, sarà necessario tracciare una rapida immagine delle strutture economiche e sociali del paese, nonché delle condizioni in cui questo versa.
La struttura economica del Ciad ha conosciuto due momenti di particolare cambiamento, in entrambi i casi legato alle necessità delle economie dei paesi occidentali industrializzati e non a quelle del reale sviluppo del paese. Il primo di questi è il periodo coloniale, durante il quale si sono sviluppate piantagioni di cotone e di arachidi, di proprietà europea e per nulla integrate nell’economia locale – tali attività, basate sullo sfruttamento della manodopera locale, particolarmente redditizio in virtù della dominazione cui il paese, parte dell’Africa Equatoriale Francese, era soggetto, erano infatti da considerarsi parte della più estesa rete degli scambi e della produzione capitalisti. Allo stesso modo, negli anni ’50 furono svolte attività di ricerca petrolifera, le quali non condussero allo sfruttamento delle riserve per via dell’alto costo di estrazione di quei particolari giacimenti, e solo negli anni ’70 ebbero luogo limitate attività di estrazione. Da allora, malgrado i numerosi interventi delle istituzioni finanziarie internazionali[13], il cui maggiore interesse era la tutela dei creditori internazionali e l’allargamento dello spazio riservato all’iniziativa privata, poco è cambiò nella struttura della produzione del paese sino primi anni 2000. Nel 2003, infatti, un consorzio formato da ExxonMobile (che in Ciad, così come in Italia, opera come ESSO), Petronas e Chevron, in cui il 75% del capitale era statunitense, iniziò lo sfruttamento dei pozzi del petrolio del paese. E, sebbene anche negli anni ’90 fossero presenti nel paese Shell e Total (che in Ciad operava come Elf), fu solamente a partire dal 2003 che le attività estrattive assunsero un importanza considerevole, diventando di fatto l’attività da cui dipende l’economia del paese. Nel 2006 Petronas e Chevron si ritirarono dal consorzio a seguito di uno scandalo fiscale e furono sostituite dalla Taiwanese Chinese Petroleum Corp e l’anglo-svizzera Glencore, attualmente il maggiore detentore di debito pubblico ciadiano, in diversi casi implicata in gravi casi di contaminazione delle acque[14]. Dopo il 2006 iniziò le proprie attività nel paese anche la China National Petroleum Company in Chad.
Lo sfruttamento di tali risorse fu reso possibile dalla costruzione dell’oleodotto lungo oltre 1000 km che collega la città di Doba, nel sud del paese, con la costa del Camerun, terminata nel 2003. Tale infrastruttura, gestita dal consorzio tra le tre società petrolifere, fu finanziato attraverso un prestito da 100 milioni di dollari concesso dalla Banca Mondiale a Camerun e Ciad, nonché attraverso un prestito complessivo di 400 milioni di dollari concesso per metà dall’agenzia del finanziamento per le esportazioni francese COFACE e per metà dalla statunitense Export-Import Bank; ulteriori 100 milioni di prestiti furono contratti con vari prestatori privati coordinati dalla IFO, parte della Banca Mondiale. Malgrado tali prestiti siano andati a gravare sul debito pubblico dei due paesi, e malgrado il fortissimo impatto che la produzione petrolifera ha avuto sul loro PIL (vedi fig.1) e sulle loro esportazioni – da allora il petrolio rappresenta tra il 90% del valore delle esportazioni del paese ed il 40% delle entrate dello stato – tale iniziativa non ha migliorato le condizioni della popolazione[15].
Fig. 1 Prodotto Interno Lordo del Ciad tra il 1980 ed il 2019 (in dollari correnti)
Figura 1Fonte: World Bank national accounts data, and OECD National Accounts data files. (https://data.worldbank.org/indicator/NY.GDP.MKTP.CD?end=2019&locations=TD&start=1981)
Sebbene in virtù della produzione di petrolio il Prodotto Interno Lordo pro-capite sia passato dai 497 dollari del 2001/2002 (circa la metà della media dell’africa sub-sahariana, una delle regioni più povere al mondo) ai circa 823 dollari del 2017, tale cifra non tiene conto del fatto che la produzione petrolifera impieghi pochissimo personale in rapporto alla popolazione: in tal senso l’aumento di tale indicatore mostra l’ordine di grandezza dei proventi e degli investimenti del settore petrolifero, di cui beneficiano imprese private straniere, e quale sarebbe stato l’impatto possibile della produzione di petrolio sullo sviluppo del paese se i suoi proventi fossero stati impiegati fare vita ad un reale processo di sviluppo dell’economia e dei rapporti sociali – cosa ovviamente impossibile nell’economia capitalista di un paese la cui situazione è, si è visto, per molti versi assimilabile a quella di una colonia e che ormai da decenni pratica misure di austerità budgettaria e privatizzazione imposte dalle istituzioni finanziarie internazionali[16]. Inoltre, la dipendenza dell’economia del paese dai proventi dell’estrazione petrolifera è dimostrata dalla recessione chiaramente visibile nel grafico riportato sopra, determinata appunto dalla dinamica del prezzo del petrolio sui mercati internazionali, come affermato dalla stessa World Bank[17].
L’impatto della crisi da COVID-19 ha sin ora determinato una riduzione del 30% nelle esportazioni petrolifere del paese. Nel 2019 il debito pubblico del Ciad ammontava a 2,8 miliardi di dollari, per un valore equivalente al 25% del PIL[18]. Il 4% di questo era detenuto da creditori facenti parte del Club di Parigi – il gruppo informale delle organizzazioni finanziarie dei 22 paesi più ricchi – l’8,6% dalla Cina, ed oltre il 42% dall’azienda specializzata nell’estrazione e nel tradingdi risorse minerarie Glencore (anglo-svizzera), debito il cui servizio è risultato così gravoso da dover essere ristrutturato ben due volte, nel 2015 e prima e nel 2018 poi, in quanto condizione necessaria per l’attivazione di una linea di credito del FMI[19]. Nonostante ciò tale è l’entità del trasferimento di ricchezza determinato da tale debito che già nel settembre del 2021 il Ciad ha chiesto la sospensione del suo servizio[20]. Tale debito, il quale nel 2015 ammontava ad oltre 1,4 miliardi di dollari (USD) ed è passato a 2 miliardi nel 2018[21], illustra bene le pratiche predatorie che assicurano i profitti delle aziende in un contesto neo-coloniale, il quale non di meno è parte integrante e fondamentale del capitalismo internazionale. Questo infatti, era stato inizialmente contratto dalla società pubblica Société des Hydrocarbures du Tchad, con la stessa Glencore, al fine garantire quelle infrastrutture necessarie per permettere, tra le altre cose, lo sfruttamento dei giacimenti ciadiani. Stipulato nella forma di oil-backed loan, sarebbe stato in parte ripagato in greggio[22]ed in parte mediante ritenute sui ricavi dello stato derivanti dal settore[23], tale prestito risponde ad una strategia di sviluppo analoga a quella sostenuta dalla Banca Mondiale nel caso dell’oleodotto tra Camerun e Ciad, in quanto assicurerebbe una rapida crescita del PIL, garantendo la possibilità di ripagare il prestito ed attirare investimenti. Per dare un’idea del costo che un’operazione di questo tipo ha per lo stato debitore – e conseguentemente i vantaggi per il creditore – basti considerare che nel 2018 dopo la seconda ristrutturazione di tale debito, il costo del servizio del debito è stato di 123 milioni di USD: di questi 71 milioni erano di ammortamento (ripagamento della somma effettivamente prestata) mentre ben 52 milioni di USD erano costituiti dal pagamento di interessi[24].
A seguito dell’impatto della pandemia di COVID-19, nel marzo 2020 il paese ha richiesto l’attivazione di una linea di credito rapida del Fondo Monetario Internazionale per 115 milioni di dollari. Nel gennaio del 2020 il Ciad ha stipulato un accordo con il Fondo Monetario Internazionale basato su un Extended Credit Facility ed un Extended Fund Facility, per la durata complessiva di 4 anni. Tali programmi prevedono l’attivazione di linee di credito per circa 500 milioni di USD, e sono vincolati all’attuazione di profonde riforme strutturali, basate su privatizzazioni e misure di austerità, la cui finalità è aumentare la crescita del PIL e con questa assicurare il servizio del debito[25]. È dunque prevedibile che la spirale, realizzatasi nel caso dell’oleodotto costruito nel 2003 e del “debito Glencore” e costituita dalla contrazione di prestiti al fine di attirare investimenti favorendo le imprese dei paesi “occidentali”, i quali a loro volta non determinano che un aggravamento della situazione generale, continui ad avviluppare il paese ed a generare enormi profitti per le imprese dei paesi imperialisti – un dinamica alla base del modo di produzione capitalista, comune nei paesi della “periferia” e non solo.
In tal senso dunque, la funzione dello stato ciadiano dal punto di vista economico appare chiaramente come quella di un agente intermedio privo di indipendenza, la cui funzione è creare le migliori condizioni per gli investimenti stranieri nonché il pagamento dei debiti che l’approntamento delle infrastrutture da questi richieste, comportano; allo stesso tempo, in base a quanto detto nella prima parte dell’articolo, dal punto di vista politico la sua funzione principale è quella di assicurare la stabilità di una vasta area ed il mantenimento delle condizioni ritenute essere più consone agli interessi europei. Da tale situazione profitta quella parte estremamente ridotta della società ciadiana che trae i propri profitti proprio da tale doppia funzione di intermediazione, ragion per cui i suoi interessi arrivano a coincidere con quelli esterni, assicurando così il continuato sfruttamento del proprio paese.
Le politiche dell’Unione Europea, così come le iniziative condotte dalle istituzioni finanziarie internazionali e le logiche che costituiscono l’essenza stessa capitalismo, mostrano la loro realtàin questo – per noi – remoto paese dell’Africa centrale. Si forniranno solo pochi dati, i quali pur nella loro parzialità, completano eloquentemente quanto esposto sopra. La popolazione ciadiana, composta da 17,4 milioni di persone, cresce ad un tasso estremamente elevato del 3,12% annuo[26]; l’età media è di 16 anni, l’aspettativa di vita è di poco superiore ai 50 anni. Malgrado l’aumento del PIL determinato dalla produzione del petrolio, la quota dello stesso investita nella sanità è del 4,1%, di poco inferiore a quella destinata alle spese militari sino al 2010 – poi scese al 2,4%. Solo il 22% della popolazione è alfabetizzata e le spese nel campo dell’istruzione ammontano al 2,2% del PIL[27]. L’80% della popolazione vive nelle campagne, svolgendo attività nel campo della pesca, dell’allevamento e dell’agricoltura, per lo più di sussistenza; solo il 2% di tale popolazione ha accesso all’energia elettrica. Non vi sono stime relative alla quota della popolazione che ha accesso all’acqua potabile[28]. Secondo le Nazioni Unite, l’85,7% della popolazione vive al di sotto del livello di povertà[29]ed il 66,7% della popolazione in una situazione di povertà grave. In base ai dati forniti dalla World Bank il 20% dei bambini nati in Ciad muore prima dei 5 anni, ed a causa delle terribili condizioni di vita e dell’insufficiente alimentazione circa il 40% di coloro che supera quest’età subisce un prematuro arresto della crescita che, puntualizza la stessa Banca Mondiale, ha effetti importanti e di lungo termine sullo sviluppo fisico e cognitivo[30]. Il paese con il più grande esercito della regione è anche quello che registra il più alto tasso di mortalità materna durante il parto[31].
Al di là del Mediterraneo non ci sono che le nostre responsabilità.
[1]https://www.france24.com/en/africa/20210430-chad-army-says-several-hundred-rebels-killed
[2]https://www.aljazeera.com/gallery/2021/4/28/protests-against-chads-new-military-leadership-turn-deadly
[3]https://www.africanews.com/2021/04/25/chad-civil-society-calls-for-protest-against-new-transitional-council/
[4]https://www.jeuneafrique.com/1162453/politique/tribune-pour-un-tchad-libre-et-republicain/
[5]In particolare Debry ha affermato: “j’aurais souhaité m’arrêter en 2006 après mon second mandat. J’aurais alors cédé le pouvoir. Mais la guerre a éclaté. Des mercenaires ont attaqué Ndjamena. Et alors que je ne le voulais pas, la France est intervenue pour changer la constitution. Il y’a un constitutionnaliste dont je ne connais même pas le nom est venu ici. J’ai dit que je ne voulais pas changer la constitution mais ils sont passés par leurs arcanes et ont changé la constitution” . Le Monde: https://www.lemonde.fr/afrique/article/2017/06/25/idriss-deby-le-tchad-ne-peut-pas-continuer-a-etre-partout-dans-la-lutte-contre-le-terrorisme_5150792_3212.html
[6]Ibidem. Le Monde definisce Debry “l’alleato più sicuro della Francia in Sahel”.
[7]https://www.diplomatie.gouv.fr/fr/politique-etrangere-de-la-france/securite-desarmement-et-non-proliferation/crises-et-conflits/l-action-de-la-france-au-sahel/
[8]http://documenti.camera.it/leg18/dossier/testi/DI0254.htm?_1591800219613
[9]https://www.cesi-italia.org/articoli/1256/cesi-update-al-via-la-partecipazione-italiana-alla-task-force-takuba
[10]https://www.affarinternazionali.it/2021/04/task-force-takuba-il-contributo-italiano-e-le-circostanze-per-il-suo-successo/
[11]https://www.esteri.it/mae/it/sala_stampa/archivionotizie/comunicati/2020/11/del-re-il-sahel-e-la-vera-frontiera-d-europa.html
[12]https://migration.iom.int/reports/libya-%E2%80%94-migrant-report-35-january%E2%80%94february-2021
[13]https://www.imf.org/external/np/fin/tad/extrans1.aspx?memberKey1=160&endDate=2099%2D12%2D31&finposition_flag=YES
[14]https://www.theguardian.com/global-development/2021/jan/28/mining-giant-glencore-faces-human-rights-complaint-over-toxic-spill-in-chad
[15]Leonard, L. Life in the Time of Oil: A Pipeline and Poverty in Chad, Indiana University Press, 2016.
[16]In questo momento si sta procedendo alla privatizzazione all’azienda statale di produzione del cotone, il settore che prima del 2003 rappresentava la parte maggiore delle esportazioni del paese. http://documents1.worldbank.org/curated/en/882741468197971085/pdf/95277-CASP-P151195-IDA-R2015-0288-IFC-R2015-0312-MIGA-R2015-0090-Box393245B-OUO-9.pdf
[17]https://www.worldbank.org/en/country/chad/overview
[18]International Monetary Fund, Chad, IMF Country Report No. 20/134
[19]https://www.reuters.com/article/us-glencore-chad-idUSKCN1G52B9
[20]https://www.reuters.com/article/chad-debt-idCNL1N2K21XN
[21]https://eiti.org/files/documents/rapport-itie-tchad-2018-signe.pdf
[22]Vedi nota 18.
[23]https://eiti.org/files/documents/rapport-itie-tchad-2018-signe.pdf
[24]Ivi, p.11
[25]https://www.imf.org/en/News/Articles/2021/01/27/pr2126-chad-imf-reaches-agreement-on-4-year-program-under-ecf-and-eff
[26]https://www.cia.gov/the-world-factbook/countries/chad/
[27]UN: http://hdr.undp.org/en/countries/profiles/TCD
[28]Ci si riferisce al sito delle Nazioni Unite il cui link è nella nota precedente.
[29]Calcolata in base ai parametri della povertà multidimensionale.
[30]https://www.worldbank.org/en/country/chad/overview
[31]Ibidem.