di Fulvio Vassallo Paleologo
Nei giorni in cui si criminalizza l’assistenza umanitaria in favore dei migranti irregolari, definiti adesso come “illegali”, e si sanziona con il carcere l’impegno di quanti lottano per la chiusura dei centri di detenzione amministrativa, mentre l’Italia continua da sola a sostenere il dittatore libico Gheddafi nelle deportazioni di migranti e nella sua crociata contro le democrazie europee, il Tribunale di Agrigento ha pubblicato le motivazioni della sentenza emessa il 7 ottobre dello scorso anno con la quale dopo cinque anni di processo, venivano assolti tutti gli imputati del caso Cap Anamur. Un caso che ha costituito una svolta nelle politiche e nelle prassi di contrasto dell’immigrazione irregolare in mare.
In quella occasione il Tribunale di Agrigento aveva pronunciato una sentenza di assoluzione con formula piena “perché il fatto non costituisce reato” nei confronti di Elias Bierdel , del comandante Schmidt e del suo secondo, imputati di agevolazione dell’ ingresso di clandestini dopo avere soccorso, nel giugno 2004, 37 naufraghi alla deriva cento miglia a sud di Lampedusa. E’ stato anche disposto il dissequestro del deposito cauzionale che era stato versato dopo il sequestro della nave, restituita al comitato Cap Anamur e poi venduta.
Chi effettua salvataggio a mare non commette nessun reato ed il comandante è l’unica persona che può individuare il “luogo sicuro”, anche da un punto di vista giuridico, per lo sbarco. Il messaggio chiaro della sentenza di Agrigento è che gli stati devono rispettare il diritto internazionale del mare, che vieta anche i respingimenti collettivi, ed il divieto di refoulement affermato dalla Convenzione di Ginevra.
Un arresto giurisprudenziale di grande importanza in un momento nel quale a livello europeo si vorrebbero riscrivere le regole del diritto internazionale del mare per giustificare le azioni di respingimento collettivo che si vorrebbero affidare all’agenzia per l controllo delle frontiere esterne FRONTEX.
Le motivazioni della sentenza di assoluzione mettono bene in evidenza le responsabilità di chi volle montare il caso a livello politico internazionale per lanciare un messaggio dissuasivo verso gli interventi di salvataggio, un messaggio che negli anni successivi ha comportato migliaia di morti.
Le stesse motivazioni enunciano principi di diritti, come l’obbligo di condurre i naufraghi in un “place of safety”, e non nel porto più vicino, che sono stati costantemente violati dalle autorità italiane ancora lo scorso anno con la prassi dei respingimenti congiunti verso la Libia. Una serie di vicende di soccorso e di respingimento lampo, spesso un respingimento collettivo, dalle conseguenze tragiche per migliaia di migranti, una politica di sbarramento che se ha permesso al ministro Maroni di fregiarsi di un “successo storico nella lotta contro l’immigrazione clandestina”, deve essere ancora oggetto di una decisione da parte della Corte Europea dei diritti dell’Uomo.
Una “cattiveria” quella praticata dal governo e dal ministro dell’interno che oggi rimane sul banco degli imputati, una lesione senza precedenti del diritto alla vita e della dignità umana, tutelati da tutte le convenzioni internazionali, oltre che dalla Costituzione italiana.
E se qualcuno oggi a Lampedusa plaude al blocco degli sbarchi, presto dovrà tornare a fare i conti con la dura realtà dell’immigrazione, non appena Gheddafi vorrà rialzare il prezzo del ricatto nei confronti dell’Italia.
Dopo anni di indagini, e dopo la audizione di numerosi testimoni, tutte le accuse formulate dalla Procura di Agrigento nei confronti dei responsabili della cap Anamur sono risultate destituite di ogni fondamento. E’ caduta la iniziale ipotesi accusatoria della forzatura del blocco navale che era stato imposto alla Cap Anamur, tenuta per due settimane al largo delle coste siciliane per decisione del governo italiano, ed è emersa la situazione di stato di urgenza e necessità, determinata a bordo della nave da una così lunga permanenza dei naufraghi, ai quali venivano impediti lo sbarco e la possibilità di fare valere la loro richiesta di asilo o di protezione umanitaria.
E’ apparsa inoltre evidente la pretestuosità della ricostruzione dei fatti che – per contestare le aggravanti derivanti dalla ipotesi associativa- è giunta a coinvolgere anche il “secondo di bordo”, soggetto del tutto privo di autonoma capacità decisionale sulla condotta della nave, rimessa esclusivamente ai poteri del comandante. In questa prospettiva appare ancora più ingiustificata la carcerazione preventiva imposta agli imputati nei primi giorni dopo lo sbarco. Ma tanto si doveva chiedere per soddisfare le richieste del ministero dell’interno dell’epoca, che pretendeva una condanna esemplare di chi aveva avuto il coraggio di disobbedire agli ordini giunti da Roma, ed impartiti dalle autorità militari senza alcuna considerazione per la vita e la dignità delle persone che erano state soccorse in pericolo di vita.
Il periodo di tempo trascorso tra la azione di salvataggio e la richiesta di attracco della Cap Anamur a Porto Empedocle, non era certo imputabile ad una scelta nell’interesse personale dei responsabili della cap Anamur, o alla ricerca di un profitto ( il cd. dolo di profitto). In quello stesso periodo vi erano stati contatti tra i governi italiano, tedesco, maltese e la nave, i cui responsabili cercavano di fare sbarcare i naufraghi in un “place of safety” nel pieno rispetto delle Convenzioni internazionali a salvaguardia della vita umana a mare e del diritto di asilo.
I ritardi ed il clamore derivante da questa vicenda sulla stampa di tutto il mondo derivava esclusivamente dalle scelte di sbarramento dei governi coinvolti, una responsabilità che porta i nomi dell’allora ministro Pisanu, e dei suoi omologhi tedesco Schily e inglese Blunkett.
. Scelte sulle quali si è costruita in questi anni la Fortezza Europa, senza arrestare significativamente l’immigrazione clandestina, ma producendo un numero incalcolabile di morti e di dispersi. Quanto questo abbia giovato alla sicurezza dei cittadini europei, quanto queste politiche abbiano ridotto l’immigrazione clandestina o evitato la minaccia terroristica, lo scriveranno presto i libri di storia, anche se le opinioni pubbliche dei paesi interessati sembrano ancora sotto il ricatto degli imprenditori della paura.
Una importante affermazione della giurisdizione, la sentenza del Tribunale di Agrigento, contro lo strapotere delle forze di polizia, ai limiti dell’arbitrio ed oltre, a terra come in mare, e le manovre tendenziose del ministero dell’interno. Le motivazioni adesso rese note forniscono finalmente il chiarimento definitivo di circostanze che nei primi rapporti di polizia, talora contraddittori, anche alla luce delle successive deposizioni rese in aula dai massimi vertici del ministero dell’interno, tendevano ad addossare ai responsabili della Cap Anamur sia i ritardi nelle comunicazioni che lo stato di emergenza che si viveva a bordo della nave dopo che i ministri dell’interno di Germania e Italia non erano riusciti a trovare una intesa sulla richiesta di ingresso e di asilo presentata dai naufraghi.
La vicenda processuale, con il concorso di tutte le parti, ha permesso di accertare come i dinieghi frapposti per settimane all’ingresso della Cap Anamur nelle acque territoriali fossero destituiti di qualsiasi fondamento giuridico, derivando da “scelte politiche” dell’allora ministro dell’ interno Pisanu, concordate in un vertice europeo con la Germania e la Gran Bretagna a Sheffield, “scelte politiche” che sul piano interno si sono poi tradotte nel ritiro “in autotutela” dei permessi di protezione umanitaria concessi a 21 dei rifugiati dopo lo sbarco in Sicilia, ed ancora nella espulsione sommaria di tutti i naufraghi, meno due, malgrado le decisioni di sospensiva provenienti da giudici diversi ed un ricorso pendente alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo.
La sentenza di Agrigento costituisce una importante affermazione dello stato di diritto di fronte al tentativo delle autorità amministrative italiane di configurare “a posteriori” una fattispecie di responsabilità penale, in violazione del principio di legalità e della responsabilità personale sui quali si basa nel nostro sistema il diritto penale. Un tentativo che si è dispiegato ancora nel corso del 2009 con la prassi dei respingimenti collettivi, che violano il diritto interno e le Convenzioni internazionali, e con la introduzione del reato di immigrazione clandestina, una fattispecie che nella sua concreta attuazione viola il principio di parità di trattamento ed è rimessa sostanzialmente alla discrezionalità delle autorità di polizia.
E pensare che oggi è proprio Berlusconi che lamenta i rischi per lo stato di diritto in caso di una sua disfatta elettorale. Per questo governo, lo stesso di oggi come allora, lo “stato di diritto” corrisponde solo ai propri interessi di bottega ed al controllo dell’opinione pubblica, sotto la minaccia costante dell’”emergenza immigrazione”e dell’allarme sicurezza.
Le motivazioni della sentenza sul caso Cap Anamur contraddicono la successiva sentenza del Tribunale di Agrigento nel processo a carico dei sette pescatori tunisini che nel 2007 salvarono altri naufraghi alla deriva nel Canale di Sicilia. Una sentenza che, se ha affermato l’assoluzione degli equipaggi, ha condannato i due comandanti dei pescherecci che operarono l’ntervento di salvataggio, una sentenza resa sulla base di motivazioni che sono oggi ribaltate dalle motivazioni fornite dai giudici dello stesso tribunale con riferimento agli imputati responsabili della Cap Anamur. Lo stato di necessità in caso di salvataggio in mare aperto non può dipendere dalla nazionalità dei soccorritori, né dalle determinazioni discrezionali e successive delle autorità di polizia. La Corte di Appello di Palermo, presso la quale è pendente il ricorso contro la sentenza del tribunale di Agrigento che condanna i due comandanti tunisini autori di un intervento di salvataggio, non potrà non tenere conto delle motivazioni della sentenza sul caso Cap Anamur.
Una sentenza quella che dovrà emettere la Corte di Appello di Palermo che sarà altrettanto importante di quella pronunciata nei confronti dei responsabili della cap Anamur, una sentenza che se non farà giustizia sull’intervento di salvataggio posto in essere dai pescherecci tunisini nel 2007, avrà sicuramente ripercussioni negative sul comportamento dei pescherecci operanti nel canale di Sicilia.
Leggendo le motivazioni fornite dai giudici di Agrigento nella loro sentenza di assoluzione il pensiero va ancora una volta a quel migrante salvato dalla Cap Anamur e poi espulso dal governo italiano, perito nell’estate del 2006, insieme ad altri migranti naufragati nel Canale di Sicilia. Una vita che, se non ci fosse stato il divieto di ingresso violento ed immotivato frapposto alla Cap Anamur dal governo italiano nel 2004, e poi una espulsione sommaria, forse non sarebbe stata spezzata in questo modo.
La politica dei respingimenti collettivi, ed anche nella vicenda della Cap Anamur si verificarono fasi di respingimento collettivo, continua a produrre vittime ed è urgente che presto la Corte Europea dei diritti dell’Uomo e la Commissione Europea si pronuncino sulle denunce che sono state presentate contro l’Italia lo scorso anno.
Le associazioni ed i movimenti, che sono stati accanto ai componenti della Cap Anamur, seguiranno tutte le fasi dei prossimi processi nei confronti di autori di azioni di salvataggio imputati per il reato di agevolazione dell’ ingresso di clandestini, a partire dal processo di appello contro i pescatori tunisini che nel 2007 salvarono altre vite umane nelle acque del canale di Sicilia, processi dai quali non potranno che emergere le gravissime responsabilità, anche a livello politico ed istituzionale, nella gestione del controllo delle frontiere e delle espulsioni nel Canale di Sicilia da parte del governo italiane e delle unità navali impegnate nelle operazioni FRONTEX.
Sarebbe tempo che l’Unione Europea rifletta sulla utilità e sui costi umani delle operazioni di pattugliamento e di respingimento adesso affidate alle unità di Frontex. Sarebbe anche tempo che i responsabili di comportamenti abusivi, in violazione del diritto internazionale del mare e degli obblighi di salvataggio, fossero chiamati sul banco degli imputati a rispondere per gli ordini di respingimento collettivo che hanno impartito o che hanno eseguito nella consapevolezza delle gravissime violazioni dei diritti fondamentali della persona che ne sarebbero scaturite.