COMUNICATO STAMPALa VI Sezione del Consiglio di Stato con l’ordinanza 376 del 2011, a seguito di ricorso proposto dagli Avv. Andrea Maestri e Arturo Salerni ed ascoltata in Camera di Consiglio l’Avv. Maria Rosaria Damizia, è intervenuta sulla questione della mancata regolarizzazione del lavoratore straniero condannato prima della sanatoria del 2009 per il reato di clandestinità previsto dall’art. 14 del testo unico sull’immigrazione.Dopo aver sospeso il provvedimento amministrativo con cui si negava la regolarizzazione per emersione dal lavoro irregolare, verificato il contrasto gtiurisprudenziale sull’interpretazione della legge di regolarizzazione, e cioè sul fatto se la condanna per il rerato di cui all’art. 14 del Testo Unico sull’immigrazione debba considerarsi ostativa alla regolarizzazione del lavoratore straniero, ha rimesso la questione alla valutazione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
sul ricorso numero di registro generale 9305 del 2010, proposto da:
Matteo Accarrino e Iba Seck Cheikh, rappresentati e difesi dagli avv. Andrea Maestri e Arturo Salerni, selettivamente domiciliati in Roma, viale Carso, 23;
Ministero dell’interno in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
dell’ ordinanza sospensiva del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA – BOLOGNA: SEZIONE I n. 00712/2010, resa tra le parti, concernente DINIEGO DICHIARAZIONE DI EMERSIONE DAL LAVORO IRREGOLARE
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2010 il consigliere Roberta Vigotti e udito per i ricorrenti l’avvocato Maria Rosaria Damizia per delega dell’avvocato Salerni;
Il signor Matteo Accarrino si è visto respingere la domanda di regolarizzazione del lavoro irregolare, presentata ai sensi dell’art. 1 ter della legge n. 102 del 2009 a favore del lavoratore straniero Seck Cheikh Iba, in ragione della condanna a sette mesi di reclusione riportata da quest’ultimo ai sensi dell’art. 14 comma 5 ter d.lgs. n. 286 del 1998 per il reato di clandestinità.
L’ordinanza impugnata, rilevata la natura ostativa del reato, ha respinto l’istanza cautelare avanzata con il ricorso proposto avverso il diniego, e avverso tale provvedimento gli interessati hanno proposto l’appello discusso all’odierna camera di consiglio.
Rileva il Collegio l’opportunità di disporre d’ufficio la rimessione del ricorso all’esame dell’Adunanza plenaria ai sensi dell’art. 99 primo comma d.lgs. n. 104 del 2010, atteso che il punto di diritto sottoposto ad indagine può dar luogo a contrasti giurisprudenziali.
La questione si incentra sui seguenti punti:
– l’art. 1 ter della legge n. 102 del 2009 inibisce la regolarizzazione dei lavoratori che risultino condannati, anche con sentenza non definitiva, compresa quella pronunciata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei reati previsti dagli articoli 380 e 381 del medesimo codice;
– l’art. 380 del codice di procedura penale prevede l’arresto obbligatorio in flagranza per i casi di delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni, oltre che per reati nominativamente specificati (tra i quali non rientra quello in esame);
– il successivo art. 381 disciplina i casi di arresto facoltativo in flagranza, per i delitti non colposi per i quali sia prevista la pena non inferiore al massimo a tre anni ovvero per un delitto colposo per il quale sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni;
– il reato previsto dall’art. 14 comma 5 ter, d.lgs. n. 286 citato, comporta l’arresto obbligatorio ai sensi del successivo comma 5 quinquies ed è punito con la reclusione nel massimo a quattro anni;
A fronte di tale quadro normativo, alcune pronunce del giudice amministrativo chiamato a esaminare la legittimità dei dinieghi di regolarizzazione, in forza di una stretta interpretazione doverosa in materia penale, hanno ritenuto che il reato in questione non rientri né tra quelli di cui all’art. 380 c.p.p., in ragione del minimo edittale, né tra quelli di cui al successivo articolo 381, in ragione del fatto che per esso è previsto l’arresto obbligatorio e non facoltativo (per tutte, Consiglio di Stato, sez. VI, ordinanza 2 settembre 2010, n. 4066).
Altre decisioni hanno, invece, concluso che ciò che rileva, nel richiamo operato dal legislatore con l’art. 1 ter citato all’art. 381 c.p.p., non è la circostanza afferente all’arresto (facoltativo o obbligatorio che sia) quanto il fatto che si tratti di un reato per il quale la pena edittale è stabilita in misura superiore, nel massimo, a tre anni (Consiglio di Stato, sez. VI, 29 settembre 2010, sentenza n. 7209 e 18 agosto 2010 , n. 5890).
Entrambe le argomentazioni non sono state ritenute risolutive cosicchè ci si è anche soffermati sulla ratio della norma, il che – come spesso accade – ha accentuato l’incertezza, attesa l’opinabilità delle opinioni al riguardo.
Ai fini di una impostazione esegeticamente più rigorosa, occorre prendere le mosse da una precisa definizione della portata normativa degli articoli 380 e 381.
Essi hanno ad oggetto la disciplina, rispettivamente, dell’arresto obbligatorio e di quello facoltativo e a tal fine individuano i reati cui si applicano i due istituti, ricorrendo ad una molteplicità di criteri, poiché se la clausola generale del primo comma di entrambi fa riferimento all’entità della pena, l’elenco di reati contenuto nei commi successivi dà invece rilievo alla tipologia dei reati stessi.
Se ne dovrebbe concludere che ciò che è essenziale negli articoli in questione è l’assoggettabilità del presunto autore degli illeciti penali all’arresto rispettivamente obbligatorio o facoltativo.
Alla stregua di tale ricostruzione esegetica, non può condividersi il rilievo dato dalla tesi “rigorosa” al fatto che la sanzione rientri nei parametri dell’articolo 381: all’ambito di applicazione di questa norma appare per definizione estraneo il reato in questione per il quale è previsto l’arresto obbligatorio e non quello facoltativo.
Quanto alla tesi “restrittiva”, essa, corretta nel far riferimento all’articolo 380, non lo sembra altrettanto, quando ritiene che la pena edittale costituisca un elemento essenziale della fattispecie, laddove si è visto che essa non lo è, sia perchè altro è l’oggetto della disciplina (l’obbligatorietà o meno dell’arresto) sia perché i criteri con cui si individuano le varie ipotesi non sono univoci nel senso di dar rilievo alla sanzione.
In questa prospettiva che porta in primo piano l’obbligatorietà dell’arresto la soluzione che esclude la regolarizzazione appare avere maggiore fondatezza.
Peraltro, considerato che la questione può essere foriera di possibili contrasti giurisprudenziali (e lo è anche stato, come si è visto, sia pure a livelli e fasi diversi di giudizio), il Collegio, come si è premesso, ritiene opportuno, in applicazione dell’art. 99, comma 1 cod.proc.amm., deferire la questione al giudizio dell’Adunanza plenaria, sospendendo, nelle more della decisione, l’ordinanza impugnata.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), rimette il ricorso all’esame dell’Adunanza plenaria ai sensi dell’art. 99 comma 1 d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104;
Sospende, nelle more, in accoglimento dell’istanza cautelare, l’ordinanza del Tar dell’Emilia Romagna impugnata con l’appello in epigrafe indicato.
Spese alla conclusione della fase cautelare.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Coraggio, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere
Manfredo Atzeni, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere, Estensore