ANCHE SE RIGUARDANO CONCORSI PUBBLICI – Cass. civ., sez. un., 30 marzo 2011
La Corte di Cassazione, sez. unite civili, con la sentenza n. 7186/11, ha respinto il ricorso dell’ Azienda Ospedaliera San Paolo di Milano che chiedeva di dichiarare il difetto di giurisdizione del giudice ordinario a favore di quello amministrativo e di far revocare l’ordinanza emanata dal Tribunale di Milano, che aveva accertato il carattere discriminatorio del provvedimento di esclusione dei cittadini non comunitari dalla procedura di stabilizzazione del personale infermieristico sino ad allora impiegato a tempo determinato. L’esclusione era stata impugnata dalle organizzazioni sindacali CGIL e CISL Funzione Pubblica di Milano che avevano promosso l’azione giudiziaria anti-discriminazione per tutelare le posizioni soggettive e gli interessi degli infermieri non comunitari regolarmente residenti in Italia. Secondo la Corte di Cassazione non vi sono dubbi nell’attribuzione al giudice ordinario della giurisdizione con riguardo ad atti e comportamenti discriminatori messi in atto dalla Pubblica Amministrazione, incluse le procedure concorsuali, in relazione alla natura delle situazioni soggettive tutelate correlate al diritto fondamentale all’uguaglianza, avente fondamento costituzionale (art. 3 Cost.) e nel sistema internazionale dei diritti umani.
REPUBBLICA ITALIANA Ud. 18/01/11IN NOME DEL POPOLO ITALIANO R.G.N. 26119/2009LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 2022/2010SEZIONI UNITE CIVILIComposta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:Dott. VITTORIA Paolo – Primo Pres.te f.f. -Dott. PROTO Vincenzo – Presidente Sezione -Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere -Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere -Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere -Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere -Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere -Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere -Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere -ha pronunciato la seguente:ordinanza sul ricorso proposto da:AZIENDA OSPEDALIERA SAN PAOLO DI MILANO, in persona del Direttore generale pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CANDTA 66, presso lo studio dell’avvocato MONTANARI MARCO SAVERIO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati VIGEZZI DONATO,COLOMBO ALBERTO, per delega in calce a, ricorso;- ricorrente -controCISL MILANO, CGIL MILANO, FUNZIONE PUBBLICA CGIL MILANO, H. N., JPS CISL MILANO, in persona dei rispettivi segretari provinciali pro-tempore, elettivamente domicilio in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 44, presso lo studio dall’avvocato MARTIGNONI ROSSANA, rappresentati e difesi dagli avvocati FEZZI MARIO, GUARISO ALBERTO,per deleghe a margine del controricorso;- controricorrenti -e controREGIONE LOMBARDIA;- intimata -sul ricorso 2022-2010 proposto da:AZIENDA OSPEDALIERA SAN PAOLO DI MILANO, in persona del Direttore generale pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE LIEGI 16, presso lo studio dell’avvocato MONTANARI MARCO SAVERIO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COLOMBO’ ALBERTO,VIGEZZI DONATO GIUSEPPE, per delega in calco al ricorso;- ricorrente -controCISL MILANO, FPS CISL MILANO, CGIL MILANO, FUNZIONE PUBBLICA CGIL MILANO, H.N., in persona dei rispettivi segretari provinciale pro-tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 44, presso lo studio dell’avvocato MARTIGNONI ROSSANA,rappresentati e difesi cagli avvocati GUARISO ALBERTO, FEZZI MARIO, per deleghe a margine del controricorso;- controricorrenti -e controPREFETTO DELLA PROVINCIA DI MILANO, REGIONE LOMBARDIA;- intimati -per regolamento di giurisdizione in relazione al giudizio pendente n. 6171/2009 del TRIBUNALE di MILANO;uditi gli avvocati Marco Saverio MONTANARI, Federica MANZI per delega dell’avvocato Alberto Guariso;udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/01/2011 dal Consigliere Dott. SAVERIO TOFFOLI;lette le conclusioni scritte dei Sostituto Procuratore Generale Dott. Ignazio PATRONE, il quale chiede alla Corte di rigettare i ricorsi, affermando la giurisdizione del G.O..MOTIVI:PREMESSO IN FATTOCon ricorso D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 44, le Organizzazioni Sindacali in epigrafe, con l’intervento ad adiuvandum della sig.ra .N., chiedevano al Tribunale di Milano, in funzione di giudice del lavoro, che fosse accertata la natura discriminatoria, lesiva del diritto fondamentale della persona al riconoscimento della pari dignita’ sociale e alla non discriminazione nell’accesso al lavoro, del proclamato proposito dell’Azienda Ospedaliera San Paolo di Milano di escludere dalla procedura di stabilizzazione del personale a tempo determinato – a norma della L. n. 249 del 2007, art. 1, comma 565, lett. c), n. 3, e del Protocollo d’intesa 3.8.2007 intervenuto tra la Regione Lombardia e le organizzazioni sindacali – le persone di nazionalita’ straniera extracomunitaria, non in possesso della cittadinanza italiana.Con ordinanza del 30 maggio 2008 il Tribunale di Milano accoglieva il ricorso affermando la propria giurisdizione e ordinando all’amministrazione convenuta di ammettere i dipendenti extracomunitari gia’ assunti a termine alle procedure di stabilizzazione previste dalle norme di legge e dalle norme contrattuali “fermi restando gli ulteriori requisiti diversi dalla cittadinanza”. Il provvedimento, impugnato con reclamo, veniva confermato dal Tribunale di Milano con ordinanza del 31 luglio 2008. In ottemperanza a tali provvedimenti l’Azienda Ospedaliera San Paolo avviava tre distinte procedure di stabilizzazione del personale extracomunitario (privo di cittadinanza italiana ma in possesso degli altri requisiti prescritti) per 27 posti di operatori socio-sanitari, 3 di collaboratore professionale-sanitario infermiere e 1 di collaboratore professionale sanitario tecnico di laboratorio, riservandosi il successivo eventuale annullamento all’esito della procedura giudiziale.Con ricorso ex art. 414 cod. proc. civ. la stessa amministrazione promuoveva il giudizio di merito, eccependo il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e, comunque, sostenendo l’illegittimita’ delle ordinanze emanate.Proponeva, quindi, nell’ambito di tale giudizio di merito, regolamento preventivo di giurisdizione, deducendo la giurisdizione del giudice amministrativo sulla base dell’assunto che la controversia riguardava una procedura di tipo concorsuale, con la conseguente sua attribuzione, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 4, al giudice amministrativo. Riguardo al merito della controversia rilevava che non era stata compiuta alcuna discriminazione poiche’ l’ostacolo all’accesso alla costituzione di un rapporto di pubblico impiego a tempo indeterminato era posto dalla stessa legge, che richiedeva il requisito della cittadinanza italiana.In via subordinata eccepiva l’illegittimita’ costituzionale del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 44, in riferimento agli artt. 3 e 25 Cost., comma 1, per violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge – da identificarsi nel giudice amministrativo ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 4, attesa la natura concorsuale della procedura di stabilizzazione -, e del principio di uguaglianza, in considerazione della mancanza di deroga alla giurisdizione amministrativa nella normativa sulla repressione delle discriminazioni cd. di genere (D.Lgs. n. 198 del 2006, art. 36 e segg.).Si costituivano con controricorso le associazioni sindacali convenute e la sig.ra H.N. sottolineando che la domanda, per come proposta nel giudizio di merito dalle originarie parti ricorrenti, non poteva che appartenere alla giurisdizione del giudice ordinario grattandosi di azione civile promossa contro il datore di lavoro che ha compiuto “un atto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando, anche indirettamente, i lavoratori in ragione della loro appartenenza (…) ad una cittadinanza”, come previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 43, comma 2, lett. e), azione la quale, per espressa previsione dell’art. 44, comma 2, del citato decreto legislativa appartiene al giudice ordinario, mentre la pretesa dell’amministrazione di aver operato una scelta in conformita’ alla legge (e, quindi, di non aver posto in essere alcuna discriminazione) doveva ritenersi priva di rilievo ai fini della giurisdizione.Il diritto fondamentale oggetto di tutela, del resto, non andava individuato nel preteso diritto ad accedere al pubblico impiego, ma in quello a non subire distinzioni per una ragione vietata. Ne conseguiva la necessita’ di distinguere tra il rapporto sostanziale sottostante che, in relazione alle sue specificita’, puo’ appartenere all’una o all’altra giurisdizione, e la disparita’ di trattamento per ragioni vietate, per la cui lesione la giurisdizione appartiene al giudice ordinario. Sottolineavano, in ogni caso, che, in tema di stabilizzazione, doveva essere affermata la giurisdizione ordinaria non venendo in rilievo una procedura concorsuale o ad essa assimilabile.Nel corso del giudizio di merito, il Prefetto di Milano formulava, ai sensi del art. 41, comma 2, e art. 368 c.p.c., la richiesta di dichiarazione da parte delle sezioni unite della corte di cassazione del difetto di giurisdizione del giudice ordinario. Il Presidente del Tribunale, per l’effetto, sospendeva il giudizio in attesa della definizione della questione davanti alle sezioni unite. L’Azienda Ospedaliera San Paolo investiva di tale questione la Cassazione con un ulteriore ricorso a norma dell’art. 368 c.p.c., comma 4, nell’alveo delle questioni gia’ autonomamente proposte. Le Organizzazioni Sindacali e la sig.ra H.N. si costituivano con apposito controricorso, ribadendo le loro precedenti difese.RITENUTO IN DIRITTO1. I due ricorsi, diretti a contestare la giurisdizione del giudice ordinario relativamente allo stesso giudizio, devono essere riuniti.Tuttavia si prendera’ in considerazione in primo luogo il ricorso proposto dall’Azienda ospedaliera in via autonoma.2. Hanno un rilievo centrale rispetto alla questione di giurisdizione in esame le disposizioni di natura processuale introdotte al fine di consentire una piu’ efficace attuazione concreta delibi norme di carattere sostanziale di divieto di discriminazioni basate sulla razza, la religione, l’origine etnica, la cittadinanza, ecc, e cioe’ la speciale azione disciplinata dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 44 (t.u. delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nel quadro delle previsioni di carattere sostanziale di cui all’art. 43, che, in relazione alla materia regolata dal t.u., delinea in maniera molto circostanziata la disciplina di divieto delle discriminazioni (rispetto alla quale possono assumere rilievo anche le varie disposizioni dello stesso testo normativo circa i diritti e i doveri dello straniero, comprese ora le disposizioni di cui agli artt. 9 e 9 bis, nel testo di cui al D.Lgs. n. 3 del 2007, art. 1, comma 1, emanato per dare attuazione alla direttiva 2003/109/CE sullo status di cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo). Il modello di azione delineato dall’art. 44 cit. e’ richiamato, poi, con taluni secondari adattamenti, dal D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 215, artt. 4 e 4 bis (il secondo inserito dal D.L. n. 59 del 2008, art. 8 sexies, convertito con modificazioni dalla L. n. 101 del 2008) e dal D.Lgs. n. 216 del 2003, art. 4, testi normativi che, dando attuazione, rispettivamente, alla direttiva 2000/43/CE per la parita’di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica e alla direttiva 2000/78/CE sulla parita’ di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, formano con lo stesso d.lgs. 286/1998 (oltre che con altre disposizioni di carattere generale o settoriale -cfr. per esempio il D.Lgs. n. 67 del 2006 di contrasto alle discriminazioni delle persone con disabilita’, il cui art. 3 fa analogamente rinvio al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 44 -, nonche’ con fonti sovranazionali e in particolare comunitarie) un complesso normativo antidiscriminatorio di lettura non del tutto agevole, a causa della tecnica adottata della successiva integrazione e ripetizione, sotto prospettive parzialmente diverse, delle previsioni antidiscriminatorie.3. E’ utile riportare il testo dei primi dieci commi del citato D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 44 (tenendo presente l’intervenuta sostituzione del tribunale in funzione monocratica al pretore): 1. Quando il comportamento di un privato o della pubblica amministrazione produce una discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, il giudice puo’, su istanza diparte, ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione. 2. La domanda si propone con ricorso depositato, anche personalmente dalla parte, nella cancelleria del pretore del luogo di domicilio dell’istante. 3. Il pretore, sentite le parti, omessa ogni formalita’ non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene piu’opportuno agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto. 4. Il pretore provvede con ordinanza all’accoglimento o al rigetto della domanda. Se accoglie la domanda emette i provvedimenti richiesti che sono immediatamente esecutivi. 5. Nei casi di urgenza il pretore provvede con decreto motivato, assunte, ove occorra, sommarie informazioni. In tal caso fissa, con lo stesso decreto, l’udienza di comparizione delle parti davanti a se’ entro un termine non superiore a quindici giorni, assegnando all’istante un termine non superiore a otto giorni per la notificazione del ricorso e del decreto. A tale udienza il pretore, con ordinanza, conferma, modifica o revoca provvedimenti emanati nel decreto. 6. Contro i provvedimenti del pretore e’ ammesso reclamo al tribunale nei termini di cui all’articolo 739, secondo comma, del codice diprocedura civile. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737, 738 e 739 del codice di procedura civile. 7. Con la decisione che definisce il giudizio il giudice puo’ altresi’ condannare il convenuto al risarcimento del danno, anche non patrimoniale. 8. Chiunque elude l’esecuzione di provvedimenti del pretore di cui ai commi 4 e 5 e dei provvedimenti del tribunale di cui al comma 6 e’punito ai sensi dell’art. 388 c.p., comma 1. 9. Il ricorrente, alfine di dimostrare la sussistenza a proprio danno del comportamento discriminatorio in ragione della razza, del gruppo etnico o linguistico, della provenienza geografica, della confessione religiosa o della cittadinanza puo’ dedurre elementi di fatto anche a carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi contributivi, all’assegnazione delle mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera e ai licenziamenti dell’azienda interessata. Il giudice valuta i fatti dedotti nei limiti di cui all’art. 2729 c.c., comma 1. 10. Qualora il datore di lavoro ponga in essere un atto o un comportamento discriminatorio di carattere collettivo, anche in casi in cui non siano individuabili in modo immediato e diretto i lavoratori lesi dalle discriminazioni, il ricorso puo’ essere presentato dalle rappresentanze locali delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale. Il giudice, nella sentenza che accerta le discriminazioni sulla base del ricorso presentato ai sensi del presente articolo, ordina al datore di lavoro di definire, sentiti i predetti soggetti e organismi, un piano di rimozione delle discriminazioni accertate (seguono il comma 11 prevedente sanzioni nei confronti di imprese beneficiarie di agevolazioni o appalti pubblici e il comma 12 sull’istituzione su base regionale di centri di osservazione e di assistenza riguardo ai fenomeni di discriminazione nei confronti degli stranieri).4. Queste Sezioni unite hanno avuto l’occasione di precisare, sulla base di un esame approfondito della questione, che il riportato art. 44 ha introdotto e disciplinato un procedimento cautelare con funzione anticipatoria della pronuncia di merito, al quale si applicano, in quanto compatibili, le norme sul procedimento cautelare uniforme regolato dal codice di procedura civile e in particolare la disposizione dell’art. 669 octies, comma 6, sulla esclusione dell’onere di iniziare il giudizio di merito entro un termine perentorio (Cass. S.U. n. 6172/2008. a cui ha prestato adesione la recente sentenza Cass. S.U. n. 3670/2011). Nella specie risulta seguito un iter procedurale conforme a tale modello ricostruttivo e, in particolare ne discende l’ammissibilita’ del regolamento di giurisdizione proposto dall’Azienda ospedaliera nel corso del primo grado del giudizio di merito.5. Il relativo ricorso si basa in sostanza sulla tesi secondo cui l’introduzione dello speciale procedimento ex art. 44 cit. non puo’ avere influenza sulle attribuzioni giurisdizionali del giudice amministrativo secondo le generali previsioni al riguardo e sulla natura della posizione soggettiva di cui fruisce il privato in relazione alla natura dei vari procedimenti amministrativi e dei poteri esercitati dalla p.a. nell’ambito degli stessi. Con riferimento alla specie, si sostiene che il procedimento di stabilizzazione di lavoratori a termine implica lo svolgimento di procedure concorsuali ricadenti nella disciplina in punto di giurisdizione di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 4, con attribuzione della controversia alla giurisdizione amministrativa e qualificabilita’ come interesse legittimo della posizione dei soggetti partecipanti alla selezione concorsuale o comunque aspiranti a parteciparvi, senza che possa farsi alcuna distinzione nel caso in cui si controverta circa l’operativita’ o meno del requisito della cittadinanza italiana.La qualificazione come concorsuale del procedimento di stabilizzazione dei lavoratori precari e’ contestata dai controricorrenti. La Corte ritiene pero’ che la qualificabilita’ o meno come concorsuale della procedura di stabilizzazione in questione non sia decisiva nella presente sede, stante il ruolo concretamente assorbente della questione logicamente e giuridicamente preliminare relativa alla rilevanza anche sul piano della giurisdizione della disciplina sostanziale e processuale antidiscriminatoria.3. Questa problematica e’ stata gia’ affrontata di recente da questa Corte, sia pure in relazione ad un procedimento promosso a norma del D.Lgs. n. 215 del 2003, art. 4 bis. Si e’ osservato che la chiarezza del dato normativo non consente dubbi riguardo all’attribuzione alla giurisdizione ordinaria della tutela contro gli atti e i comportamenti ritenuti lesivi del principio di parita’ e, in particolare della parita’ di trattamento dovuta, a norma del D.Lgs. n. 215 del 2003, art. 3, “senza distinzione di razza ed origine etnica (…) a tutte le persone sia nel settore pubblico che privato”, per la cui attuazione viene fatto i. -rinvio dagli artt. 4 e 4 bis – quest’ultimo diretto ad assicurare la speciale tutela processuale nel caso di ritorsioni nei confronti di attivita’ dirette a perseguire la parita’ di trattamento – al procedimento D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 44 (Cass. S.U. n. 3670/2011 cit).Nella stessa occasione, circa il rapporto tra situazioni sostanziali e modi di tutela processuale, si e’ osservato che costituiscono oggetto di tutela veri e propri diritti assoluti, derivanti dal fondamentale principio costituzionale di parita’ (art. 3 Cost.) e dalle analoghe norme sovranazionali, in attuazione delle quali il legislatore nazionale ha emanato le normative in esame; e circa l’attribuzione al giudice ordinario anche del giudizio di merito, si e’ rilevato in particolare che comporterebbe l’introduzione di una palese anomalia sistematica ammettere la possibile attribuzione al giudice amministrativo del giudizio di merito, con interruzione del nesso tra giudizio cautelare, finalizzato ad assicurare interinalmente o ad anticipare gli effetti del giudizio di merito, e quest’ultimo.4. Tali rilievi sono condivisibili e sono recepiti in questa sede.In presenza di normative che, al fine di garantire parita’ di trattamento, in termini particolarmente incisivi e circostanziati, e correlativamente vietare discriminazioni ingiustificate, con riferimento a fattori meritevoli di particolare considerazione sulla base di indicazioni costituzionali o fonti sovranazionali articolano in maniera specifica disposizioni di divieto di determinate discriminazioni contemporaneamente istituiscono strumenti processuali speciali per la loro repressione, affidati lai giudice ordinario, deve ritenersi che il legislatore abbia inteso configurare, a tutela del soggetto potenziale vittima delle discriminazioni, una specifica posizione di diritto soggettivo, e specificamente un diritto qualificabile come “diritto assoluto” in quanto posto a presidio di una area di liberta’ e potenzialita’ del soggetto, rispetto a qualsiasi tipo di violazione della stessa.Il fatto che la posizione tutelata assurga a diritto assoluto, e che simmetricamente possano qualificarsi come fatti illeciti i comportamenti di mancato rispetto della stessa, fa si’ che il contenuto e l’estensione delle tutele conseguibili in giudizio presentino aspetti di atipicita’ e di variabilita’ in dipendenza del tipo di condotta lesiva che e’ stata messa in essere e anche della preesistenza o meno di posizioni soggettive di diritto o interesse legittimo del soggetto leso a determinate prestazioni. Di cio’ si trova riscontro nel dettato normativo, secondo cui il giudice puo’ “ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione” (D.Lgs. n. 2876 del 1998, art. 44, comma 1), oltre che condannare il responsabile al risarcimento del danno (comma 7).Risulta quindi spiegabile, in particolare, come, in relazione a discriminazioni del genere di quelle in esame, anche quando esse siano attuate nell’ambito di procedimenti per il riconoscimento da parte della pubblica amministrazione di utilita’ rispetto a cui il soggetto privato fruisca di una posizione di interesse legittimo e non di diritto soggettivo, la tutela del privato rispetto alla discriminazione possa essere assicurata secondo il modulo del diritto soggettivo e delle relative protezioni giurisdizionali. L’inquadramento nell’ambito del diritto assoluto spiega efficacia, infatti, ai fini e nei limiti delle esigenze di repressione della (in ipotesi) illegittima discriminazione, anche se non possono essere predeterminati in astratto i termini della tutela accordabile giudizialmente, dovendosi tenere conto delle specificita’ di ogni situazione e del riferimento delle disposizioni di legge anche ad ipotesi di discriminazione indiretta (cfr. il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 43, comma 2, lett. e), e il D.Lgs. n. 215 del 2003, art. 2, comma 1, lett. b)).D’altra parte e’ lo stesso testo del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 44, con il suo riferimento incondizionato ai comportamenti sia dei privati che della pubblica amministrazione (comma 1), che non consente di escludere l’esperibilita’ delle azioni ivi previste solo perche’ la p.a. ha attuato la discriminazione in relazione a prestazioni rispetto a cui il privato non fruisce di una posizione di diritto soggettivo. Anche il D.Lgs. n. 215 del 2003, art. 3, precisa che il relativo principio di parita’ di trattamento opera sia nel settore pubblico che in quello privato (comma 1), e fa particolare riferimento all’accesso all’occupazione e al lavoro “compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione” (lett. a) e all’accesso a ogni tipo di prestazione sociale (lett. e) e seguenti), mentre l’unica eccezione alla giurisdizione del giudice ordinario e’ prevista in favore della giurisdizione amministrativa esclusiva – in quanto tale estesa alla tutela dei diritti soggettivi – relativa al personale alle dipendenze della pubblica amministrazione in regime di diritto pubblico a norma del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 3, comma 1, (comma 7 del cit. art. 3).Nella specie non risulta alcuna esorbitanza dell’oggetto del giudizio rispetto alle finalita’ di repressione delle asserite discriminazioni in ragione della cittadinanza, visto che il giudizio di merito ha ad oggetto la conferma o meno delle statuizioni adottate nella fase cautelare, contenenti l’ordine di ammettere anche i lavoratori di cittadinanza extracomunitaria alle procedure di stabilizzazione, salva la verifica di ogni altro requisito.5. La proposta eccezione di illegittimita’ costituzionale del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 44 e’ qualificabile come manifestamente infondata, in relazione alle gia’ evidenziate ragioni che spiegano e giustificano l’attribuzione della relativa azione al giudice ordinario. Quanto al confronto con le tutele in giudizio previste in caso di discriminazioni di genere, premesso che il testo del D.Lgs. n. 198 del 2006, artt. 36 e segg. che risente delle formulazioni della piu’ antica L. n. 125 del 1991, essendosi proceduto in sostanza alla redazione di un testo unico a norma della L. n. 246 del 2005, art. 6, non fornisce elementi univoci a conferma della tesi che i riferimenti alla competenza del tribunale amministrativo regionale riguardino ipotesi ulteriori rispetto ai casi di rapporti di pubblico impiego in atto, deve comunque rilevarsi che non potrebbe costituire un idoneo elemento di comparazione ai fini in esame la disciplina relativa ad uno specifico elemento di discriminazione, in (ipotesi) disomogenea rispetto ad un coerente e costituzionalmente giustificato indirizzo adottato in genere dal legislatore con riferimento alle discriminazioni particolarmente qualificate per essere relative a fattori specificamente presi in considerazione dalla Costituzione o da altre fonti qualificate riguardo alla protezione dei diritti della persona.6. Deve osservarsi infine che appartiene al merito – incidendo sulla configurabilita’ o meno di una illegittima discriminazione in ragione della nazionalita’ – e non rileva ai fini della giurisdizione, la soluzione della questione relativa alla applicabilita’ o meno del requisito della cittadinanza italiana ai fini della partecipazione alle procedure in questione di stabilizzazione di lavoratori precari, funzionali alla assunzione da parte di soggetto della pubblica amministrazione con contratto di lavoro a tempo indeterminato.7. Deve in conclusione dichiararsi la giurisdizione del giudice ordinario, restando assorbita ogni questione circa l’ammissibilita’ della richiesta di regolamento fatta dal prefetto.8. Le spese del giudizio vengono poste a carico della parte ricorrente, che ha contestato la riconosciuta giurisdizione del giudice ordinario.P.Q.M.La Corte riunisce i ricorsi; dichiara la giurisdizione del giudice ordinario; condanna l’Azienda Ospedaliera San Paolo a rimborsare le spese del giudizio di cassazione ai controricorrenti, liquidate nella somma complessiva di Euro duecento per esborsi ed Euro tremila per onorari.Cosi’ deciso in Roma, il 18 gennaio 2011.Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2011DEPOSITATO IL 30/03/2011UDIENZA DEL 18/01/2011SENTENZA ANNO/NUMERO 2011/07186NRG 2009/26119
NRG 2010/2022