L’immigrazione clandestina è ancora reato. Nonostante il Governo sia stato delegato con la legge 67 del 2014 dal Parlamento a procedere alla sua abrogazione, il decreto predisposto dal Ministro della Giustizia non è arrivato ieri al Consiglio dei Ministri. Ragioni di “opportunità politica”. Già lo scorso 13 dicembre, il Governo aveva deciso di non inserire tra le ipotesi da depenalizzare il reato di immigrazione clandestina, chiedendo un nuovo esame alle commissioni parlamentari. Prima di Natale è arrivato il parere favorevole della Commissione Giustizia della Camera con la condizione di trasformare il reato in illecito amministrativo.
La Corte Europea di Strasburgo, i magistrati che si confrontano con l’applicabilità e l’efficacia del reato di immigrazione clandestina, una grande parte della società civile che già ai tempi dell’introduzione del reato si oppose e manifestò il suo sdegno, le associazioni per i diritti umani che hanno salutato con favore la legge delega del 2014 spingono verso la necessaria e non differibile abrogazione del reato: una fattispecie penale che impedisce ai migranti irregolari ed ai loro figli di emergere da una situazione drammatica che alimenta frustrazione, disagio sociale ed illegalità.
Ancora una volta si piega la ratio dell’intervento politico e legislativo alla volontà di inseguire gli umori di una parte della pubblica opinione, alimentati da slogan xenofobi e da continui allarmismi. Passano in secondo piano i dati sull’assoluta inefficacia e, per molti versi, inapplicabilità di una disposizione dal carattere fortemente simbolico e persino il rispetto dei diritti umani.
Il reato di ingresso e soggiorno illegale, inserito nel cosiddetto “pacchetto sicurezza”, fu introdotto nel 2009 dall’allora Ministro della Giustizia, il leghista Maroni, per eludere una Direttiva Europea la quale prevedeva che i provvedimenti di rimpatrio degli stranieri in situazione irregolare dovessero essere eseguiti soprattutto mediante la concessione di un termine per la partenza volontaria, salvo il caso in cui l’espulsione fosse l’effetto di una sanzione penale. La legge del 2009 quindi stabilisce che lo straniero che entra e soggiorna illegalmente nel territorio italiano debba essere punito con un’ammenda da 5.000 a 10.000 euro e che il giudice può sostituire la pena pecuniaria con l’espulsione.
L’inutilità e la crudeltà della norma apparvero particolarmente evidenti nell’ottobre del 2013, in seguito a uno dei più tragici naufragi al largo di Lampedusa. Morirono più di 300 persone, numerosissimi dispersi, una vera ecatombe. I sopravvissuti furono iscritti nel registro degli indagati e accusati del reato di immigrazione clandestina.
Noi di Progetto Diritti affermiamo con forza che il reato di ingresso e soggiorno clandestino è una fattispecie dannosa, incostituzionale e razzista e che il Governo ha il dovere di abrogarlo, così come indicato dal Parlamento.
Occorre affrontare l’immigrazione come fenomeno strutturale delle nostre società: non si può ancora passare sulla vita di tante persone che fuggono da realtà tragiche di guerra e di disperazione o che vengono nei nostri paesi per costruire un futuro migliore.
Il diritto di migrare non può essere negato a nessun essere umano.
Roma, 9 gennaio 2016