da Huffington Post 28.12.2012
“Se sei argentino, se sei nato tra il 1975 e il 1980 e hai dei dubbi, contatta la Rete per l’identità-Italia. Numero di telefono 3355866777 oppure 0648073300, email dubbio@retexi.it” così recita loslogan diffuso dall’ambasciata argentina in Italia per ritrovare i figli dei desaparecidos nel nostro paese. Una campagna civile che ha trovato subito l’appoggio e la collaborazione di molte associazioni e istituzioni italiane sensibili al tema dei diritti.
Negli ultimi anni i governi democratici argentini, attraverso una massiccia campagna nazionale e internazionale, hanno assunto come missione istituzionale il ritrovamento di questi ragazzi. A testimonianza di una risoluta volontà di consolidare la democrazia a partire dai diritti e dalla memoria. La ricerca dei piccoli venne promossa dalle nonne di Plaza de Mayo già nei mesi successivi a quel fatidico 24 marzo del 1976, giorno del golpe che diede il via alla dittatura militare capeggiata dal generale Videla, una delle più sanguinose dell’America Latina. Oggi quei bambini, glihijos, sono degli adulti che vivono a loro insaputa sotto un’altra identità.
Si stima che in tutto potrebbero essere circa cinquecento, che i militari hanno sottratto ai loro oppositori prima dell’eliminazione, con lo scopo di farli crescere in famiglie “vicine”, secondo un agghiacciante disegno di rieducazione del popolo. Come ha scritto Claudio Tognonato, sociologo e scrittore italo-argentino, fuggito in Italia all’indomani del golpe e oggi professore associato all’Università di Roma Tre:
“I militari argentini erano molto cattolici, spesso militanti dell’Opus Dei. La loro etica impediva loro di uccidere una donna incinta. Avevano un particolare modo di rispettare la vita. La facevano partorire e forse anche allattare il bimbo per qualche giorno. Dopo, la madre era fucilata o gettata in mare viva da aerei in volo. Le donne che arrivavano all’ora di dare alla luce sapevano che partorire era morire”.
Fino ad oggi, sono più di cento i ragazzi ritrovati, la maggior parte in Argentina, ma anche in Messico e Spagna. Alcuni casi sono diventati particolarmente celebri. Come quello di María Eugenia Sampallo Barragán che, dopo aver scoperto la propria reale identità, ha denunciato i genitori adottivi portando il suo caso in tribunale. Come lei molti altri, sulla base di un dubbio iniziale hanno deciso di andare a fondo e affrontare con coraggio un doloroso percorso individuale e collettivo per ristabilire la giustizia e la verità storica. Un dramma ulteriore che s’aggiunge al dramma dei 30000 desaparecidos, rendendo l’intera tragedia quanto mai attuale e viva.
Ma quello che spesso si tace è che si tratta di un dramma italiano. Perché l’Argentina è sicuramente il più italiano dei paesi latinoamericani con i suoi più di venti milioni di cittadini di origine italiana. E questa non è cosa da poco. Perché molte delle vittime e dei carnefici della dittatura erano e sono di origine italiane. Perché, come hanno dimostrato recenti ricerche storiche, per esempio ilvolume Affari Nostri (edizioni Fandango), durante la dittatura il nostro paese avrebbe potuto fare molto di più per limitare la repressione della dittatura, ma scelse di esserne indirettamente complice per tutelare alcuni interessi economici oppure direttamente complice come nel caso di Licio Gelli e degli uomini della P2.
Infine, perché alcuni di quei quasi quattrocento ragazzi mancanti all’appello – non possiamo sapere quanti con precisione – potrebbero essere ancora in Italia o potrebbero esserci stati per motivi di studio o di lavoro. Le ipotesi sono tante, ma un solo dubbio potrebbe ristabilire la verità su molte cose che ci riguardano tutti e che non possono più essere ignorate.
di Manuel Anselmi