fonte: http://newroz2011.blogspot.it/
Per la corte che l’ha appena giudicata, Leyla Zana, deputata curda del Parlamento turco, è colpevole. Dieci anni di carcere per “propaganda” a favore del suo popolo, una condanna che rappresenta l’ennesima conferma del lungo cammino che attende la Turchia sulla strada della democrazia e dei diritti politici e civili, come ricorda anche Amnesty International. di Maria Letizia Perugini Era l’ottobre scorso, quando la Special Authorized 7° High Criminal Court chiedeva 45 anni di carcere per Leyla Zana, una leader storica della lotta politica dei curdi in Turchia. Il processo era stato aperto per giudicare la donna rispetto ad alcuni discorsi tenuti a favore del suo popolo. Ora la corte l’ha riconosciuta colpevole di violazione della legge antiterrorismo, condannandola a dieci anni di reclusione, che però non verranno scontati grazie all’immunità accordata ai deputati. Ma la prima donna curda a sedere nel Parlamento turco le conosce molto bene le carceri turche. Al momento del suo insedimanto nel 1991, Leyla decise infatti di pronunciare parte del proprio discorso in lingua curda, provocando sdegno e scandalo tra i colleghi, a cui seguì una condanna penale. Allora l’uso della lingua curda era vietato persino nel privato. Simbolica anche la frase che scelse di pronunciare: “Faccio questo giuramento per la fratellanza tra il popolo curdo e il popolo turco”. A partire dal 1994, quando il partito filo-curdo venne dichiarato fuori legge, Leyla dovette scontare 10 anni di prigione. Nel corso della sua permenenza in carcere venne candidata per due volte al premio Nobel per la Pace, e nel 1995 vinse l’Andrei Sakharov per i diritti umani, assegnatole dal Parlamento europeo. Nel 2004, tornata in libertà, ha ripreso la sua attività politica e nel 2011 è stata nuovamente eletta nel Parlamento turco, dove siede tuttora. La vicenda politica e personale della Zana appare esemplificativa dello stato dei diritti politici e civili in Turchia, tra processi iniqui e limitazioni alla libertà di espressione. E’ questo il quadro che emerge anche dal rapporto annuale di Amnesty International pubblicato nei giorni scorsi. Secondo l’ong, Leyla Zana deve essere considerata una “prigioniera di coscienza”. Ma le critiche di Amnesty non finiscono qui: le elezioni parlamentari che nel luglio scorso hanno portato alla riconferma dell’Akp di Erdogan (il Partito di giustizia e sviluppo), hanno visto l’impossibilità per nove membri dell’opposizione regolarmente eletti di sedere tra i banchi del Parlamento a causa dei processi giudiziari aperti nei loro confronti. Basti pensare al caso di Hatip Dicle, per il quale i deputati curdi hanno iniziato un lungo sciopero della fame. Nel rapporto si parla di processi iniqui che vanno a inficiare il diritto alla libertà d’espressione, nonché dei molti giornalisti che tra il 2011 e il 2012 hanno rischiato azioni legali solo per aver parlato della condizione dei curdi in Turchia. Le basi legali per le incriminazioni di tali “reati” derivano da alcuni articoli del codice penale, ma soprattutto dalla normativa antiterrorismo, che per Amnesty è “eccessivamente ampia e vaga”, con la conseguenza che la sua applicazione risulta arbitraria e spesso finisce con il negare diritti fondamentali sanciti dall’ordinamento internazionale. Inoltre la possibilità di imporre il vincolo della segretezza sui procedimanti limita fortemente la capacità di difesa degli avvocati rispetto all’esame delle prove a carico dei propri assistiti. La legge antiterrorismo introdotta nel 2006 è stata subito additata dalle maggiori organizzazioni per la protezione dei diritti umani come una delle più rigide al mondo, dal momento che consente di condannare a 28 anni di carcere chiunque partecipi a una manifestazione a sostegno di organizzazioni terrorisitiche. Altro particolare rilevante di tale legislazione riguarda la possibilità di incriminare e processare i bambini al pari degli adulti, per gli stessi reati. La detenzione minorile è infatti un altro degli aspetti considerati dal rapporto Amnesty. E nonostante le modifiche realizzate nel 2010, che intendevano limitare i processi contro i minori per la partecipazione a manifestazioni, di fatto poco è cambiato. Attualmente sono tanti i bambini e i ragazzi in custodia preventiva, spesso detenuti nelle strutture destinate agli adulti. In diverse province mancano addirittura i tribunali per minori. Ancora per quanto riguarda la libertà d’espressione, il rapporto di Amnesty rileva l’uso eccessivo della forza da parte della polizia. Sebbene nel settembre scorso il governo di Ankara abbia firmato il protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura, aprendo così la strada al monitoraggio indipendente dei luoghi di detenzione, ad oggi ancora non sono stati adottati gli strumenti giuridici per l’applicazione delle nuove regole. E chi finisce in carcere non ha alcuna garanzia sul rispetto dei propri diritti. 28 maggio 2012 fonte : Osservatorio Iraq