Il punto sui diritti del lavoro lo sfruttamento nelle campagne

Di Eva Tennina

#OpenFields: dalle campagne al web per ribaltare il modo di parlare dei braccianti. Cliccare, leggere e condividere perché il Lavoro è un Diritto Umano. Ma non per tutti.

Quando leggiamo una notizia di cronaca che riporta episodi di sopruso e discriminazione nei confronti di lavoratori agricoli stranieri non si tratta di un caso isolato o di un’eccezione. Lo sfruttamento dei braccianti stranieri che lavorano nelle campagne in Italia è un dato di fatto, una situazione endemica alla base dell’attuale sistema.

Agguati, ferimenti, attacchi armati, investimenti sulle strade senza prestare soccorso, sfruttamento sul luogo di lavoro, intermediazione illecita per il reclutamento dei lavoratori, schiavitù, minacce, maltrattamenti, intimidazioni, razzismo, emarginazione, condizioni di vita e di lavoro che causano patologie psicologiche e fisiche, alloggi in pessime condizioni igienico sanitarie in insediamenti informali senza elettricità né acqua e lontano dai centri abitati, che comportano esclusione sociale, isolamento e ostacolano le interazioni con le comunità.

Fa impressione mettere tutte queste parole in fila una dopo l’altra, ma non è una forzatura, è quello che accade nel nostro Paese ai danni di molte persone che lavorano per garantire il nostro quotidiano approvvigionamento alimentare.

Chi sono queste persone? Sono persone che hanno bisogno di lavorare, che sono ricattabili e che si vedono costretti ad accettare condizioni di lavoro e di vita inumane e degradanti.

Cosa li rende ricattabili? Lo stato di bisogno. Hanno problemi economici per cui non possono permettersi le esigenze di base come il cibo e la casa, dunque non possono realmente scegliere a quali condizioni lavorare. I lavoratori stranieri sono particolarmente a rischio perché lontani dalla loro famiglia e spesso costretti per forza di cose ad accettare condizioni lavorative insostenibili a causa della precarietà o della mancanza di documenti, o di una dimora dignitosa o dei debiti contratti per arrivare in Italia.

A queste persone molto spesso vengono negati alcuni diritti fondamentali, quei diritti che dovrebbero garantire principi importanti come dignità, equità, rispetto e uguaglianza, sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE essi stabiliscono gli standard del nostro modo di vivere e di lavorare oggi in Europa, parliamo ad esempio del diritto alla salute, del diritto ad adeguate condizioni di lavoro e di alloggio.

Nella realtà assistiamo ad una quasi totale applicazione del “lavoro grigio” e quelli indicati come esempi di sfruttamento dalla normativa in vigore, sono condizioni diffuse e condivise. La paga è molto più bassa di quella prevista dai contratti collettivi che firmano i sindacati o comunque sproporzionata rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato; non viene rispettato il limite di ore di lavoro, viene negato il riposo, anche settimanale e delle ferie previsti dalla legge; vengono violati gli obblighi di sicurezza sul lavoro; il lavoratore è costretto a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti. Talvolta viene imposto persino il divieto di parlare tra loro la propria lingua sul luogo di lavoro se non è comprensibile da chi li sorveglia.

Il Covid ha poi esacerbato le difficoltà e gli ostacoli già esistenti, impossibilità di spostarsi e di trovare un lavoro, difficoltà di accesso alla registrazione anagrafica, troppo spesso negata ingiustamente dagli uffici pubblici che attuano sistematicamente prassi illegittime, difficoltà a reperire informazioni e ottenere cure mediche.

Fondamentale è le rete di intervento delle associazioni attive nei territori, che operano per raggiungere le persone e garantire loro informazioni e supporto per avere accesso ai servizi essenziali, ma non è sufficiente, per cambiare la situazione occorre un maggiore impegno da parte delle istituzioni.

I fenomeni di sfruttamento sono strutturali e senza grandi cambiamenti nel corso degli anni, nonostante alcuni strumenti introdotti, come la modifica apportata nel 2016 all’articolo 306 bis del codice penale, che prevede la possibilità di avere accesso ad un permesso di soggiorno temporaneo e convertibile per chi decide di denunciare una situazione di grave sfruttamento lavorativo, un  meccanismo di premialità che difficilmente trova applicazione nella realtà. Purtroppo non è previsto l’inserimento in un percorso di protezione per le persone che con coraggio e difficoltà decidano di denunciare, oltre a non avere più lavoro saranno costrette ad allontanarsi dal luogo di dimora e quindi anche dalla comunità di riferimento.

Un’occasione sprecata è stata la Sanatoria dell’estate scorsa, le troppe limitazioni ne hanno di fatto impedito l’accesso alle centinaia di migliaia di braccianti stranieri impiegati nelle campagne italiane, inoltre, finora più della metà delle domande non hanno avuto risposta.

Dall’ottobre 2020 è in vigore il decreto legge di modifica del c.d. Decreto Sicurezza, che introduce il permesso di soggiorno per Protezione Speciale, uno strumento di tutela necessario a porre rimedio al caos generato dalla cancellazione del permesso per motivi umanitari.

La regolarità e la stabilità del soggiorno sono il presupposto per la possibilità di rivendicare i propri diritti, appare dunque urgente e necessario un cambiamento nell’approccio al fenomeno migratorio, che preveda meccanismi più efficaci e semplici per richiedere un permesso di soggiorno e per poter regolarizzare la propria posizione in Italia, senza dover attendere sanatorie emergenziali o decreti flussi con meccanismi macchinosi e insensati.

Per garantire condizioni di lavoro dignitose in agricoltura c’è bisogno di grandi cambiamenti, che possano migliorare l’attuale sistema della filiera agro alimentare e consentire di effettuare al meglio i controlli previsti da parte dell’ispettorato del lavoro, sostenendo le esperienze virtuose e incentivando pratiche sostenibili e rispettose dell’uomo e dell’ambiente.