Si è svolta ieri 8 ottobre la prima vera udienza d’appello per il Processo Condor.
Il processo svoltosi in Italia era stato istituito per far luce sull’uccisione e la sparizione, negli anni ’70-’80, di 43 cittadini, di cui 23 di nazionalità italiana nell’ambito del Plan Condor, l’organizzazione criminale multinazionale finalizzata alla sparizione di persone che fu messa in atto dalle dittature militari di Cile, Paraguay, Uruguay, Brasile, Bolivia e Argentina. Dopo un lavoro quasi ventennale di ricerca e analisi comparativa delle fonti, ascolto dei test, esame delle sentenze dei tribunali esteri e due anni di udienze dibattimentali, il 17 gennaio 2017 si era giunti alla sentenza di primo grado con otto ergastoli e diciannove assoluzioni. Una sentenza storica che ha riconosciuto, per la prima volta in Europa, la colpevolezza dei capi militari e politici dell’Operazione Condor. Tuttavia molto avevano pesato, soprattutto per i familiari delle vittime che da quarant’anni attendono giustizia, le assoluzioni.
L’appello è dunque stato proposto, oltre che dai difensori degli imputati condannati, anche dalla Procura della Repubblica di Roma e dai legali dei familiari delle vittime per arrivare ad affermare la colpevolezza anche degli imputati assolti in primo grado. Fra questi anche l’unico non contumace, l’ex Capo dell’S2, il servizio di intelligence della Marina militare uruguaiana, l’italo-uruguaiano Jorge Néstor Tróccoli Fernández, ora residente in Italia.
Il processo d’appello si era ufficialmente aperto il 12 aprile scorso. Nell’udienza di ieri la difesa dell’Uruguay ha depositato nuovi documenti. Alcuni di questi provengono dagli archivi del FUSNA (Corpo de Fucileros Navales de l’Uruguay) di cui faceva parte anche Troccoli. Nel Fusna era installata una stanza, detta “la Computadora” dove erano rinchiusi i prigionieri che collaboravano e venivano elaborate schede sui detenuti e organigrammi dei gruppi sovversivi. Gli altri documenti depositati provengono invece dall’ESMA (Escuela Mecánica de la Armada di Argentina), tristemente nota come uno il più grande centro di detenzione illegale e tortura delle persone scomode alla giunta di Videla. Qui transitarono oltre cinquemila desaparecidos.
Sulla base di questi documenti, nella prossima udienza che si terrà il 7 novembre 2018, si chiederà lo svolgimento di una nuova istruttoria, quindi saranno probabilmente ascoltati nuovi testimoni e saranno apportate nuove prove.
Il rinvio al 7 novembre è stato comunque motivato da formalità legate a errori di notifica. È stata stralciata una posizione, quella relativa a Pedro Octavio Espinoza Bravo, il numero due della Dirección de inteligencia nacional (Dina) cilena, il cui nome è indissolubilmente legato alla cosiddetta “Carovana della morte” che è già detenuto in Cile. È stato inoltre dichiarato il non doversi procedere per morte del reo nei confronti di due imputati, condannati all’ergastolo in primo grado: García Meza Tejada (Presidente della Bolivia dal 1980 al 1981, già condannato nel suo Paese a 30 anni di carcere per genocidio) e il peruviano Richter Prada (Primo Ministro del Perù dal ’79 all’80).
Dopo il 7 Novembre, le prossime udienze sono state fissate per il 12 novembre e 21 dicembre.