Le morti nei percorsi migratori e il diritto internazionale

Il Comitato Verità e Giustizia per i Nuovi Desaparecidos è nato nel 2014. Il portavoce è Enrico Calamai che lavorava nel Consolato italiano in Argentina durate il periodo del colpo di stato nel ’76 e ha aiutato tanta gente a scappare via. Lui stesso ha suggerito l’esigenza di mettere insieme le migliaia di morti degli anni delle dittature dell’America Latina e le migliaia di morti che caratterizzano i percorsi migratori verso i Paesi europei. E ha suggerito la possibilità di chiedersi: ci sarà un giorno una nuova Norimberga per questi crimini?

Come avvocati di parte civile abbiamo seguito a Roma il processo al Piano Condor. Perché c’è la necessità di chiudere una pagina di giustizia anche a tanti anni di distanza e con un oceano di mezzo.

Secondo il sito Nuovi Desaparecidos, aggiornato da Emilio Drudi, fino a ottobre 2017 le morti nel mediterraneo sono state 3095. Nel 2016 erano 5022, e 3771 nel 2015. Dal 2013 sono oltre 15mila i morti e oltre 30mila i morti dal 2003 a oggi. Nel parlarne dobbiamo tener conto di un sistema normativo e di alcuni elementi di comportamento messi in atto: il blocco dei canali umanitari, l’inesistenza di canali regolari per i nuovi ingressi, la ricerca di vie diverse per scappare dalle persecuzioni, dalle guerre, dalle miserie. Nell’ottobre del 2013 dopo due grandi tragedie, quelle del 3 e dell’11 ottobre a largo di Lampedusa, fu messa in campo l’Operazione Mare Nostrum. Nel dicembre 2014 l’operazione si chiuse e abbiamo dei dati dell’Università Goldsmith di Londra che dimostrano l’incremento esponenziale dei morti in mare dopo che l’Operazione Triton di Frontex venne limitata alle 35 miglia a sud di Malta e Lampedusa. Questo dato suggerisce la possibilità che esista un legame di causa effetto fra scelte politiche, comportamenti e perdita di vite umane. Mettiamo insieme i singoli casi, le singole libre, gli accordi con i paesi terzi. Nei percorsi migratori dobbiamo vedere non solo i morti in mare. E in quest’ottica appare ancor più vero che il ministro Minniti non ha inventato niente, soprattutto se pensiamo alle immagini dei cadaveri nel deserto a sud della Libia già nel 2008, ai morti nei luoghi di detenzione e nei luoghi di detenzione informale.

Esistono dei luoghi della giustizia italiana, della giustizia comunitaria, della giustizia europea e internazionale, dove si possa porre non solo il rapporto tra queste cause e questi effetti, ma anche stabilire un nesso e affermare per questo nesso una rilevanza giuridica e sostenere che questa rilevanza giuridica sia anche di natura penale? Questo è il punto su cui vogliamo lavorare come Comitato Nuovi Desaparecidos. Per costruire un percorso di memoria e giustizia che non sia fine a sé stesso ma aiuti ad evitare il ripetersi di questi accadimenti tragici. La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, o UNCLOS (United Nations Convention on the Law of the Sea), siglata a Montego Bay nel 1982, è un trattato internazionale che definisce i diritti e le responsabilità degli Stati nell’utilizzo dei mari e degli oceani, definendo linee guida che regolano le trattative, l’ambiente e la gestione delle risorse minerali. All’art. 98, primo comma stabilisce che ogni Stato impone che il comandante di una nave che batta la sua bandiera, nei limiti del possibile e senza che la nave, l’equipaggio ed i passeggeri corrano gravi rischi: a) presti assistenza a chiunque si trovi in pericolo in mare; b) vada il più presto possibile in soccorso delle persone in difficoltà se viene informato che persone in difficoltà hanno bisogno d’assistenza, nei limiti della ragionevolezza dell’intervento; c) presti soccorso, in caso di collisione, all’altra nave, al suo equipaggio ed ai passeggeri e, nella misura del possibile, indichi all’altra nave il nome ed il porto d’iscrizione e il primo porto del suo approdo.

Questo lo possiamo riferire alla vicenda Libra e alle altre singole vicende, e considerare l’esistenza eventualmente di comportamenti che abbiano impedito la piena applicazione dell’art. 98. C’è poi un secondo comma che prevede che gli Stati costieri creino e curino il funzionamento di un servizio permanente di ricerca e di salvataggio adeguato ed efficace per garantire la sicurezza marittima e aerea e, se del caso, collaborino a questo fine con gli Stati vicini nel quadro di accordi regionali. Noi non dobbiamo fare oggi un elemento di valutazione prognostica ex ante dobbiamo verificare i dati. È stato predisposto negli anni nella frequenza, nella prevedibilità, ricorribilità degli eventi un sistema adeguato ed efficace? E chi non ha collaborato e non ha determinato gli elementi perché quel sistema fosse adeguato ed efficace, è responsabile delle morti e questa responsabilità può essere valutata sul teatro processuale? Su quale teatro processuale?

Per la Convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo (nota anche semplicemente come: SAR, acronimo di search and rescue) siglata ad Amburgo il 27 aprile 1979 ed entrata in vigore il 22 giugno 1985, esiste l’obbligo di approntare piani operativi che prevedono le varie tipologie di emergenze e le competenze dei centri. Bisogna soccorrere le persone in mare indipendentemente dalla nazionalità, dallo status delle persone e dalle circostanze per le quali queste persone si sono ritrovate in pericolo. Vi è l’obbligo anche del dovere di sbarcare i naufraghi in un luogo sicuro.

Ci sono poi gli accordi con i Paesi di transito e con i Paesi di provenienza. I nostri Stati sono arrivate a stipulare accordi con i paesi dai quali si scappa e la fuga di quelle persone è un elemento insuperabile del nostro ordinamento per la concessione della protezione internazionale. Oltre all’accordo con i soggetti che illegalmente trattano i migranti all’interno della Libia ci sono gli accordi con le dittature perché ancora più lontano sia posto il tappeto sotto cui deve essere nascosta la polvere umana di coloro che tentano di salvarsi.

Stiamo lavorando con altri giuristi per valutare la possibilità di rivolgersi a una corte penale internazionale. Alcuni elementi sono complessi perché la Corte penale internazionale prevede l’esteso sistematico attacco alle popolazioni civili con la consapevolezza dell’attacco. Esiste un popolo dei migranti? E rispetto a questa popolazione (considerando i dati, la frequenza dei dati, mancata predisposizione di elementi che possano contrastare quei dati e invece la predisposizione di elementi che acuiscono quei dati di sofferenza e di tragedie) si configura un esteso e sistematico attacco con la consapevolezza dell’attacco? Si intende per crimine contro l’umanità nell’ambito di questo esteso attacco un atto che configuri come omicidio, sterminio, riduzione in schiavitù, imprigionamento, altre gravi forme di privazione della libertà personale in violazione di norme di diritto internazionale. È chiaro che si intende per attacco diretto e sistematico alle popolazioni civili la reiterata commissione di taluno degli atti preveduti. Possiamo leggere la mancata predisposizione di un servizio permanente di ricerca e salvataggio adeguato ed efficace, previsto dall’art. 98 della Convenzione UNCLOS, come un fatto commissivo? Se noi teniamo in considerazione gli accordi non siamo certo di fronte a un fatto di natura omissiva. Un altro elemento è l’attacco al sistema di accoglienza e soccorso. Si è arrivati ad attaccare fino in fondo coloro che hanno allestito un sistema alternativo, in parte efficace, cioè le ONG. Ero all’interrogatorio di Don Mosè davanti al pm di Trapani presso lo SCO, servizio centrale operativo di Roma. Qualche giorno prima era arrivata la richiesta di archiviazione per il naufragio dell’11 ottobre 2013, laddove il gip di Agrigento aveva ordinato di iscrivere gli ufficiali della Marina al registro degli indagati per 289 omicidi.

Cos’è questo comune sentire che viene impersonato da un magistrato ed approva a questa applicazione del principio di legalità per cui la vera legittimità resta sullo sfondo? La legittimità che stabilisce una gerarchia dei valori e degli interventi pubblici: innanzitutto salvare una vita e garantire le libertà fondamentali. Questa gerarchia la troviamo ribaltata perché il problema non è delle morti ma del trafficking.

Ci sono dei morti che continuamente aumentano e questi morti non sono lì per caso. Ci sono comportamenti umani che precedono quelle morti e contribuiscono a determinarle.

Il video integrale del convegno è disponibile sul sito di Radio Radicale.

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