Fra pochi giorni il Gip di Roma, Giovanni Giorgianni si esprimerà in merito all’archiviazione delle indagini per il naufragio dell’11 ottobre 2013 a 61 miglia da Lampedusa, un vero massacro che convinse l’allora premier Letta ad avviare l’operazione Mare Nostrum. Quel giorno persero la vita 268 persone, fra cui 60 bambini. Il Gip nella Camera di consiglio del 27 ottobre scorso ha chiesto 20 giorni di tempo per valutare la richiesta di nuove indagini depositata dai legali delle famiglie per accertare le responsabilità degli ufficiali italiani. Fra i legali Arturo Salerni, avvocato di Progetto Diritti, che difende un medico siriano e la moglie che nel naufragio hanno perso tutte e quattro le loro bambine.
Sul naufragio dell’11 ottobre 2013 si era già espresso un giudice, il capo dell’ufficio Gip del Tribunale di Agrigento, Francesco Provenzano, che ha indagato quattro ufficiali per omicidio con dolo eventuale e ha trasmesso gli atti per competenza a Roma, poiché le decisioni che avrebbero ritardato i soccorsi sarebbero state prese nelle centrali operative romane della Marina e della Guardia costiera. Secondo le sue dichiarazioni in una intervista a Raffaella Daino su SkyTg24: «Era ben chiaro al centro della Guardia costiera di Roma che stesse per succedere un’ecatombe e lo aveva detto anche il dottor Jammo nelle sue strazianti telefonate… Perché si va verso l’archiviazione, visto che c’è una norma che impone di attivarsi per il salvataggio? Si poteva e si doveva evitare quella ecatombe. Si doveva perché c’era la norma, si poteva perché c’era il tempo. Però non si è fatto».
Gli ufficiali indagati per omicidio con dolo eventuale sono l’allora comandante della nave Libra, Catia Pellegrino, l’ammiraglio in congedo Filippo Maria Foffi, che all’epoca era comandante in capo della Squadra navale della Marina (Cincnav), e gli ufficiali di servizio nella centrale operativa della Guardia costiera di Roma, il tenente di vascello Clarissa Torturo e il tenente di vascello Antonio Miniero. Per il reato di omissione di soccorso sono invece indagati la comandante di nave Libra, il capo della centrale operativa della Guardia costiera, Leopoldo Manna, il capo sezione attività correnti del Comando in capo della Squadra navale della Marina (Cincnav), Luca Licciardi e l’ufficiale superiore di servizio alla centrale operativa aeronavale del Cincnav, Nicola Giannotta. La nave Libra si trovava quell’11 ottobre a poche miglia dal peschereccio carico di famiglie siriane alla deriva dopo esser stato attaccato da una motovedetta libica. Ma, secondo quanto si è appreso dalle telefonate registrate, il pattugliatore italiano ha addirittura ricevuto dal Comando in capo della Squadra navale della Marina l’ordine di allontanarsi e andare a nascondersi. Oltre alle richieste disperate di soccorso che venivano da uno dei medici a bordo, ci sono le testimonianze dei piloti dell’aereo ricognitore maltese, che quel pomeriggio hanno più volte chiesto l’intervento immediato di nave Libra senza ottenere risposta.
Il 27 ottobre, inoltre, è stata comunicata l’apertura di un’inchiesta da parte della Procura militare per “omissione di soccorso o protezione, in caso di pericolo” (articolo 113 del codice penale militare) e “violenza di militari italiani contro privati nemici” (articolo 185 del codice penale militare di guerra). La decisione di applicare il codice penale militare di guerra sarebbe giustificata dal fatto che, essendo la Libia in stato di conflitto, nei giorni del naufragio la Libra era stata inviata nel Mediterraneo a proteggere i pescherecci italiani da eventuali attacchi delle milizie e per avvistare i barconi carichi di profughi.
La Procura di Roma ha chiesto l’archiviazione sostenendo, da una parte, che gli ufficiali della Marina e della Guardia costiera indagati non fossero consapevoli delle reali condizioni di pericolo in cui versava il peschereccio. Dall’altra che l’ordine a Libra dovesse arrivare dal centro di coordinamento soccorsi di Malta perché il peschereccio si trovava nell’area di ricerca e soccorso di competenza maltese. Circostanze queste che sembrerebbero ampiamente smentite dalle prove raccolte dagli avvocati delle famiglie e nell’ambito dell’inchiesta giornalistica condotta da Fabrizio Gatti per L’espresso. Proprio a quest’inchiesta va il merito di aver portato questa tragedia all’attenzione dell’opinione pubblica e dei media di tutto il mondo, dando voce ai superstiti e rendendo note le testimonianze audio di quelle terribili ore, ben cinque, in cui l’ecatombe poteva e doveva essere evitata. Testimonianze raccolte anche nel film “Un unico destino”, prodotto da L’Espresso e Repubblica con 42° Parallelo e Sky.
Come Progetto Diritti, insieme agli altri avvocati che difendono i familiari sopravvissuti al naufragio, siamo convinti che quelle 268 vite potessero essere salvate e che sia necessario individuare le responsabilità di chi, messo a conoscenza dell’imminente disastro, avrebbe avuto l’obbligo, giuridico oltre che morale, di intervenire.