Un pioniere lo ha definito la rivista americana Time. Candidato al Premio Nobel per la Pace nel 2015 da Kristian Berg Harpiken, direttore dell’Istituto di ricerca internazionale di pace di Oslo. Nel 2016 ha ritirato il premio “Colomba d’oro per la pace” assegnato ogni anno ai promotori della pace, della gestione nonviolenta dei conflitti e della cooperazione internazionale. Abba Mussie Zerai, Don Mosè per tutti, dall’agosto scorso è indagato dalla Procura di Trapani con l’accusa di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina” nell’ambito dell’inchiesta che ha coinvolto la ONG Jugend Rettet, proprietaria della nave Iuventa. Il 19 settembre scorso, Don Mosé, accompagnato dal suo legale, l’avv. Arturo Salerni, si è sottoposto volontariamente a interrogatorio davanti ai pm di Trapani.
Cappellano della comunità cattolica eritrea a Berna, molti lo definiscono l’Angelo dei profughi e il suo numero di telefono ha rappresentato e rappresenta la salvezza per migliaia di migranti, soprattutto eritrei, in pericolo, in mare aperto, su barconi alla deriva, in balia dei predoni del Sinai, nei container arroventati nel cuore del Sahara, nei lager libici. I migranti lo chiamano e lui risponde sempre, allertando la Marina militare perché soccorra i barconi, contattando le famiglie per ritrovare le tracce perdute. Grazie a lui migliaia di persone hanno trovato dignità e futuro in Europa. Don Mosè nel 2006 ha fondato l’Agenzia Habeshia, dal nome della zona fra Eritrea ed Etiopia da cui proviene, un’organizzazione che opera a favore di richiedenti asilo, rifugiati, beneficiari di protezione umanitaria ed è una delle migliori fonti di informazione sui viaggi dal Corno d’Africa. Zerai è stato tra i primi a rendersi conto di due tra i tanti «effetti collaterali» dell’esodo: la tratta degli esseri umani nel Sinai; l’impiego dei profughi che attraversano la Libia – da parte di molte fazioni in lotta – come muli da soma per portare mine e munizioni lungo il fronte.
Le accuse rivolte a lui sono la cartina di tornasole del clima di sospetto che viene alimentato da certa politica e da certi mass media, nei confronti delle Ong nel Mediterraneo e di quanti operano per sostenere i diritti che i governi criminalmente calpestano. Un clima che si nutre di disinformazione, accuse delegittimanti e infamanti che offrono un’interpretazione completamente ribaltata del reale. Senza dimenticare che laddove le ONG sono state costrette ad arretrare nel Mediterraneo, rinunciando al loro ruolo di soccorso dei migranti, anche a seguito dell’approvazione del codice di condotta voluto dal governo italiano, si è lasciato campo libero ai respingimenti della Guardia Costiera Libica, con tutte le atrocità che sappiamo questo comporta.