Il documento della Banca Mondiale sulle rimesse degli immigrati nei loro paesi, 325 miliardi nel 2010. Oltre 215 milioni di persone, il 3% della popolazione mondiale, vivono fuori dal paese di nascita. Al primo posto delle destinazioni gli Stati Uniti con 42,8 milioni di immigrati, seguiti dalla Russia (12,3), Germania (10,8) e dall’Arabia Saudita (7,3) Nella Ue il Regno Unito al primo posto l’Italia al 12° posto nel mondo con 4,5 milioni.
ROMA – Benedetti emigranti verrebbe da dire. Sono loro, con le rimesse inviate dall’estero, a dare la mano più significativa alle fragili economie dei paesi in via di sviluppo. Tre volte più decisivi degli aiuti “ufficiali”. Un flusso imponente che resiste anche alla crisi economica: 325 miliardi di dollari nel 2010 (contro i 307 del 2009), più del 10% del prodotto interno lordo di molti paesi in via di sviluppo. Una fonte vitale per migliorare gli investimenti in istruzione e sanità. E’ la situazione che emerge dal rapporto della Banca Mondiale, “Migration and Remittances 2011”, un’analisi dei flussi migratori in 210 paesi e delle loro ricadute economiche sui paesi d’origine.
I dati. Più di 215 milioni di persone, il 3% della popolazione mondiale, vivono fuori dal proprio paese di nascita. Nella classifica delle destinazioni principali gli Stati Uniti sono al primo posto con 42,8 milioni di immigrati, seguiti dalla Federazione Russa (12,3), dalla Germania (10,8) e dall’Arabia Saudita (7,3). Il primo paese della Ue è il Regno Unito, al sesto posto con 7 milioni, mentre l’Italia figura al 12° posto con 4,5 milioni. La classifica cambia se si considera la percentuale di immigrati sul totale della popolazione: Qatar (87%), Monaco (72%), Emirati Arabi Uniti (70%), Kuwait (69%).
Flussi migratori. Gli Stati Uniti hanno visto un aumento di questo trend tra il 2005 e il 2010, mentre per quanto riguarda l’Europa è in crescita il flusso di migranti diretti in
Spagna, Italia e Regno Unito, soprattutto dai paesi dell’Europa dell’est, dall’America Latina e dall’Africa settentrionale. Un incremento significativo dell’emigrazione, soprattutto dall’Asia meridionale ed orientale, si è avuto anche nei sei paesi del Concilio di Cooperazione del Golfo (Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti). Il trend generale dei flussi migratori si è comunque indebolito in tutte le regioni a causa della crisi economica. Un po’ sorprendentemente secondo quanto rileva l’Oecd (l’Organizzazione per la Cooperazione economica e lo sviluppo), le migrazioni tra paesi in via di sviluppo (Sud-Sud) sono più consistenti di quelle verso paesi con situazioni economiche migliori (Sud-Nord).Le rotte principali. Secondo i dati ufficiali il corridoio tra Messico e Stati Uniti è la principale rotta mondiale, con 11,6 milioni di persone transitate nel 2010. Seguono i corridoi tra Russia e Ucraina e quello tra Bangladesh e India. In alcune situazioni, c’è da rilevare che spesso non è l’effettivo movimento a determinare lo status di immigrato ma la creazione di nuovi confini internazionali. Situazione a parte quella dei rifugiati, saliti a 16,3 milioni, che costituiscono quasi l’8% dei migranti internazionali.
Rimesse in crescita. Da questo quadro si origina il flusso di rimesse economiche globale verso i paesi di origine. Si tratta di una cifra che raggiungerà i 440 miliardi di dollari entro la fine del 2010, di questi 325 diretti ai paesi in via di sviluppo. Un trend in crescita (erano 307 nel 2009) nonostante la crisi economica, e che nei prossimi due anni dovrebbe superare i 370 miliardi. Per intenderci stiamo parlando di una cifra vicina al prodotto interno lordo di paesi come Norvegia e Arabia Saudita (rispettivamente 388 e 383 miliardi di dollari). E l’ammontare reale dovrebbe essere ancora più cospicuo se si considera che il dato si riferisce solo alle rimesse registrate. Già così, però, nel 2009, il totale è stato di circa tre volte superiore a quello degli aiuti ufficiali arrivati ai paesi in via di sviluppo (307 miliardi contro 120). Di poco inferiore al contributo che è arrivato ai paesi poveri dagli investimenti diretti stranieri (359), che peraltro si sono pesantemente ridotti nel 2009 (-40%).La classifica. Nel 2010 i paesi che hanno ricevuto più rimesse sono stati India, Cina, Messico, Filippine e Francia. Come incidenza sul prodotto interno lordo le percentuali salgono vertiginosamente quando si tratta di paesi piccoli: Tajikistan (35%), Tonga (28%), Lesotho (25%), Moldavia (31%). La fonte principale da cui proviene questo flusso di risorse sono, com’è facilmente intuibile, i paesi più sviluppati. Gli Stati Uniti sono largamente in testa con 48 miliardi di dollari, davanti ad Arabia Saudita, Svizzera e Russia. L’Italia è al sesto posto, con 13 miliardi di dollari inviati a casa dagli immigrati nel nostro paese.
Un’ancora di salvezza. Emerge chiaramente l’importanza di queste entrate per le famiglie dei migranti che restano nei paesi di origine. “Si tratta di una fonte vitale di sostentamento”, ha detto Hans Timmer, direttore del settore sviluppo della Banca Mondiale, “le rimesse determinano maggiori investimenti per il miglioramento della sanità, dell’istruzione e anche per la creazione di piccole attività imprenditoriali”. Secondo Dilip Ratha, direttore dell’Unità Migrazioni e Rimesse della Banca Mondiale, “queste entrate hanno costituito una vera ancora di salvezza per i paesi più poveri in due anni difficili per l’economia globale come il 2008 e il 2009”.
Il forum. Le conclusioni del rapporto della Banca Mondiale saranno arrivate senz’altro al Forum Globale su Migrazione e Sviluppo, che si è tenuto dall’8 all’11 novembre a Puerto Vallarta, in Messico. All’incontro che ha avuto per tema “Partenariati per la migrazione e per lo sviluppo umano: proprietà condivisa – responsabilità condivisa” – hanno partecipato rappresentanti di 150 paesi oltre ai delegati del Gruppo sulle Migrazioni Globali (Gmg) istituito nel 2006 dalle Nazioni Unite e composto da 14 agenzie ONU, insieme all’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e alla Banca Mondiale. I lavori del Forum sono stati inaugurati dall’Alto Commissario Onu per i Diritti Umani, Navi Pillay.
di Pasquale Notargiacomo