Un uomo con pantaloni, camicia, giacca e scarpe nere osserva in disparte i colpi e le percosse che gli aguzzini infieriscono sui corpi dei detenuti. Apre bocca raramente, solo per ordinare ai torturati di fare i nomi e fornire informazioni ai militari. Solo collaborando, sostiene, si può aspirare a un conforto spirituale. Quell’uomo ha un colletto bianco e una Bibbia fra le mani. E questa è l’immagine che almeno quattro sopravvissuti alle torture dei militari di Videla nella Casa Departamental di San Rafael, trasformata in centro di detenzione clandestino, conservano impressa nella mente.
L’uomo che assistiva alle sessioni di tortura con la Bibbia fra le mani si chiama Don Franco Reverberi, allora parroco di San Rafael e cappellano militare proprio negli anni in cui la scure feroce della dittatura militare si abbatteva sull’Argentina. Oggi vive a Sorbolo, piccolo Borgo della Bassa Parmigiana, dove conduce una vita da curato di campagna, celebra messa, confessa i fedeli e partecipa alle feste parrocchiali.
La sua storia è raccontata da Alessandro Leogrande nelle pagine di Fuoribordo, rubrica di Pagina99. È una storia che rievoca tanti fantasmi degli anni oscuri del Plan Condor, l’internazionale del terrore che negli anni ’70 coordinò il sequestro, l’interscambio e la sparizione di migliaia di oppositori politici in Latino America. Ma è anche una storia che parla di un tragico vuoto nell’ordinamento giuridico del nostro Paese, ovvero l’assenza del reato di tortura insieme alle storture che ne derivano in termini politici e di perseguimento della verità e della giustizia. È infine una storia che, come scrive Leogrande, fa scaturire tante domande sulla responsabilità etica di un cappellano che ha esortato dei corpi martoriati a fornire informazioni ai torturatori e sulla quotidianità di un uomo che, al riparo della tranquillità di una piccola borgata della Pianura Padana, a quarant’anni dall’orrore assolve i fedeli dai peccati convivendo con il suo passato.
Quella raccontata da Leogrande è una storia da leggere perché apre una riflessione profonda sul (mancato) processo di ricostruzione storica della verità e, insieme, sul senso assegnato alla “verità che ci rende liberi” da un curato di campagna, cappellano militare in un centro di detenzione clandestino nell’Argentina dei dittatori che, sostiene, fino al 2010 non ha mai sentito parlare di desaparecidos.
L’articolo di Leogrande è sul numero 29 di Pagina99.