di Fulvio Vassallo Paleologo, Università di Palermo
Dopo la pulizia etnica di Rosarno, Maroni espelle i clandestini. Ed il cerchio si chiude
Il ministro dell’interno Maroni in una lunga intervista rilasciata domenica 10 gennaio a Sky ha ribadito che tutti gli immigrati trasferiti da Rosarno e Gioia Tauro nei centri di prima accoglienza di Crotone e Bari saranno identificati e, se trovati privi di documenti di soggiorno, verranno espulsi, non si sa se con l’intimazione a lasciare entro cinque giorni il territorio nazionale, di fatto un invito ad una ulteriore clandestinità, ovvero dopo lunghi mesi di internamento nei CIE. Appare infatti improbabile ( diciamo anche per fortuna) che in pochi giorni oltre mille persone di diverse nazionalità, reduci dal pogrom di Rosarno, possano essere riconosciute dalle ambasciate dei paesi di provenienza, dotati di documenti di viaggio ed accompagnate in frontiera.
Nella stessa intervista Maroni ha rinnovato l’impegno del governo ad aprire centri di detenzione nelle regioni che ne sono ancora prive, dando poi i numeri dei suoi successi, la drastica riduzione degli sbarchi in Sicilia, e le espulsioni che sarebbero state eseguite dall’Italia negli ultimi due anni. Non entriamo nel merito delle cifre snocciolate dal ministro perché anche a livello internazionale è noto come solo una minima parte dei migranti che fanno ingresso irregolarmente in Italia attraversa il Canale di Sicilia, e di questa minima parte oltre la metà sono donne, minori, richiedenti asilo. Tante di queste persone sono state riconsegnate lo scorso anno al governo libico, o bloccate prima della partenza grazie alla collaborazione dei nostri “agenti di collegamento” dislocati in Libia, una situazione gravemente lesiva dei diritti dell’uomo come documentato pochi mesi fa da Human Rights Watch. Contento il ministro ed in pace la sua coscienza, e quella dei suoi sostenitori, se di questa barbarie vuole andare fiero. Per quanto concerne le cifre delle espulsioni, vorremmo proprio conoscere i documenti analitici dai quali risulterebbero 40.000 espulsioni effettivamente eseguite negli ultimi due anni. Una volta su questi aspetti indagava anche la Corte dei Conti, si vedano le relazioni assai puntuali fino al 2006 che denunciavano sprechi ed inefficienze, e poi gli atti della Commissione De Mistura nel 2007, oggi l’operato del Ministero dell’interno è sottratto a qualsiasi controllo e ognuno può sparare le cifre che vuole, esattamente come fanno le Questure dopo ogni manifestazione. I numeri sono sempre a convenienza di chi li usa, su questo in Italia non ci può essere il minimo dubbio, soprattutto in materia di contrasto dell’immigrazione irregolare. E le persone non sono numeri, magari da imprimere su un polso o da scrivere su un cartellino appeso sul petto. Di certo il pacchetto sicurezza, con la introduzione del reato di immigrazione clandestina e con il prolungamento a sei mesi della detenzione amministrativa ha fatto diminuire le espulsioni effettivamente eseguite, su questo sono tutti concordi e basterebbe visitare un CIE per rendersene conto.
Rimangono invece preoccupanti le dichiarazioni di Maroni , che attacca per “eccessiva tolleranza” le autorità locali, sembrerebbe dunque anche i Prefetti, i Questori ed il Commissario straordinario al comune di Rosarno, dichiarazioni che costituiscono un regalo straordinario per le ‘ndrine e per i comitati civici che hanno imposto la deportazione dei migranti dalla piana di Rosarno.
La Lega nord alleata della n’drangheta? I provvedimenti di espulsione che le autorità di polizia si accingono a consegnare ai migranti vittime della pulizia etnica della Piana di Gioia Tauro, costituiscono una sorta di legittimazione successiva dell’azione violenta condotta dalla teppaglia criminale di Rosario e un grande guadagno per quei datori di lavoro che non hanno pagato le misere remunerazioni dovute ai braccianti agricoli stranieri impegnati da settimane alle loro dipendenze.
Anche i mezzi di informazione hanno documentato come molti migranti non volessero lasciare Rosarno proprio per ottenere quanto loro dovuto da alcuni datori di lavoro, abitanti di quella cittadina ,che fino al giorno prima li avevano sfruttati come bestie, e che adesso li prendevano a fucilate o a sprangate. I giornalisti hanno documentato richieste telefoniche dei migranti che chiamavano inutilmente i loro datori di lavoro per ottenere la paga dovuta, richieste senza risposta perché nessuno rispondeva al cellulare. Il Procuratore della Repubblica di Palmi ha poi osservato come dietro la contro-rivolta dei rosarnesi si potesse nascondere la criminalità organizzata locale (che in quei territori si chiama solo e soltanto n’drangheta) ed uno dei tre arrestati, per i quali i rosarnesi chiedevano la libertà con striscioni esibiti anche durante i servizi televisivi, è il rampollo di una delle più importanti famiglie mafiose che controllano la Piana di Gioia Tauro.
Una volta deportati nei centri di prima accoglienza, identificati e poi espulsi dal ministro nessun immigrato irregolare potrà più rivendicare i propri diritti alla retribuzione per il durissimo lavoro svolto nelle campagne di Rosarno. L’intervento della n’drangheta si è così risolto in un sicuro vantaggio per tutti quegli imprenditori che non volevano più pagare gli immigrati “clandestini”. Se le cose rimangono così non si vede come si possa riaffermare l’autorità dello stato in quella regione. Non certo con le dichiarazioni di Maroni, persecutorie e “cattive”, di quella “cattiveria” di cui il ministro ha già dato ampia prova, ma solo nei confronti dei migranti e mai contro i datori di lavoro, E poco o nulla rileva che i feriti più gravi stanno ottenendo un permesso per motivi umanitari, non certo scelta politica ma atto dovuto, anche in base alla pessima legislazione italiana sull’immigrazione, di fronte alla situazione sanitaria nella quale si trovano queste persone.
Appare a tutti evidente, meno che al ministro Maroni purtroppo, che gli immigrati cacciati via da Rosarno erano ( e rimangono) vittime di una gravissima sopraffazione quotidiana garantita dal sistema economico-mafioso locale che estorceva quotidianamente tutte le loro energie lavorative per pochi euro all’ora, costringendoli a vivere in condizioni disumane. Ma non sono bastate le spranghe ed i fucili dei mafiosi. Adesso sembra invece venuto il tempo delle “sprangate” ministeriali, probabilmente il trasferimento di prefetti e questori perché troppo “tolleranti”, come si è potuto fare impunemente con la rimozione del Prefetto di Venezia, ritenuto troppo tollerante nei confronti dei rom, e se le stesse autorità locali seguiranno le direttive del ministro, prima di essere sostituite, arriveranno anche centinaia di provvedimenti di espulsioni, e poi decreti di trattenimento nei Centri di identificazione ed espulsione, luoghi infernali nei quali adesso si può restare fino a sei mesi. E questo sarà il trattamento riservato a chi è stato vittima di mesi di violenze e di sfruttamento. Per subire poi con un inganno, sotto la pressione dei linciaggi, una deportazione verso l’ignoto. E che nessuno si stupisca poi dei casi sempre più frequenti di autolesionismo e di suicidio.
Questa situazione, che forse rassicura l’opinione pubblica che sostiene l’azione del governo, non può essere accettata con rassegnazione da chiunque abbia un minimo rispetto per la dignità umana, compresa la propria, anche se partiti e sindacati si stanno trincerando dietro un silenzio assordante. Occorre reagire con determinazione e concretezza, salvare innanzitutto dalla deportazioni le vittime di pulizia etnica a Rosarno, costituire ovunque comitati civici antirazzisti, nuclei di difesa socio-legale, gruppi di associazioni e referenti presso enti locali, per iniziative immediate di solidarietà, di mobilitazione, di rivendicazione dei diritti negati ai migranti, anche a quelli che si trovano costretti ad una condizione di clandestinità. Difendere i diritti dei migranti oggi, è difendere i diritti dei cittadini domani, nel quadro dell’attuale crisi economica non esistono vie di salvezza individuale, questo il messaggio che deve passare per mettere fine alla guerra tra i ceti più deboli innescata dalle destre oggi al potere in Italia.
In un recente documento dell’ASGI si chiede “l’emanazione di un provvedimento urgente che consenta l’effettiva emersione dei lavoratori stranieri costretti dalla necessità o dal ricatto al lavoro nero e all’esposizione a condizioni di grave sfruttamento. Tale provvedimento, per essere efficace, deve potere avere ampia portata nelle condizioni di accesso e nella estensione temporale e deve potere essere attivabile dal lavoratore in caso di perdurante rifiuto da parte di chi ha posto in essere lo sfruttamento lavorativo”. Nello stesso documento si chiede ancora “emanazione di opportune direttive, di concerto tra i ministeri dell’Interno, del Lavoro e delle politiche sociali e della Giustizia, e un collegato rafforzamento dell’operato degli uffici di controllo, specie nelle regioni Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, finalizzato a dare attuazione sia alle disposizioni di cui all’art. 18 del d.lgs 286/98 sia al nuovo art. 600 cp novellato dalla legge 11 agosto 2003, n. 228, che permettono di perseguire la riduzione in condizioni di schiavitù o servitù nonché il grave sfruttamento, anche lavorativo”.
Secondo l’art. 18 del testo Unico sull’immigrazione n. 286 “quando, nel corso di operazioni di polizia, di indagini o di un procedimento per taluno dei delitti di cui all’articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, o di quelli previsti dall’articolo 380 del codice di procedura penale, ovvero nel corso di interventi assistenziali dei servizi sociali degli enti locali, siano accertate situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno straniero, ed emergano concreti pericoli per la sua incolumità, per effetto dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di un’associazione dedita ad uno dei predetti delitti o delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio, il questore, anche su proposta del Procuratore della Repubblica, o con il parere favorevole della stessa autorità, rilascia uno speciale permesso di soggiorno per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza ed ai condizionamenti dell’organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale”.
Nel caso dei migranti deportati da Rosarno nei centri di prima accoglienza calabresi e pugliesi è indubbio che al momento nel quale sono stati trasferiti si trovavano in una condizione di grave pericolo, e che il trasferimento è avvenuto con la garanzia che nessuno degli irregolari sarebbe stato espulso. Adesso non si può tradire quel patto non scritto stipulato tra le istituzioni e gli immigrati, confermato da numerosi testimoni, e dimenticare in un solo giorno la situazione nella quale si trovavano i migranti esposti ad una vera e propria “caccia all’uomo” nelle campagne di Rosarno. Occorre dunque fare valere in loro favore la possibilità del riconoscimento di uno speciale permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale previsto dall’art. 18 del T.U. 286/1998 sull’immigrazione, fornendo una interpretazione di questa norme conforme al dettato costituzionale ed alle direttive comunitarie più recenti.
Come osservano Nicodemi e Bonetti sulla portata dell’art. 18 del Testo Unico sull’immigrazione ( in www.asgi.it “schede pratiche”) “il sistema ha due caratteristiche peculiari: 1. per il rilascio e il mantenimento del permesso di soggiorno si esige che vi siano presupposti concreti e la costante partecipazione effettiva dello straniero ad un ben preciso programma a cui ha deciso di aderire, ma la sussistenza e verifica dei presupposti e della partecipazione al programma avviene soltanto se si instaura una costante collaborazione leale tra 4 soggetti pubblici e privati operanti in un determinato luogo: il Questore, eventualmente la Procura della Repubblica, l’ente locale, l’organismo del privato sociale abilitato a svolgere l’attività del programma;
2. occorre che sia concretamente attivo uno specifico programma a cui possa concretamente accedere un determinato straniero vittima di violenza o di sfruttamento, la cui incolumità è in pericolo: ciò significa che prima ancora che la vicenda del singolo straniero sia nota quello stesso programma deve essere stato già progettato da enti locali e/o da enti del privato sociale e deve essere già stato approvato e finanziato da una speciale commissione interministeriale secondo le priorità indicate dalle norme vigenti. Si esige cioè che prima che lo straniero vi possa accedere sia già attivo uno specifico programma destinato ad assistere quel medesimo tipo di vittime potenziali a cui appartiene quel determinato straniero (p. es. sfruttamento della prostituzione, tratta delle persone, sfruttamento lavorativo, sfruttamento dell’accattonaggio, riduzione in schiavitù, ex detenuti stranieri); il permesso non è dunque rilasciabile o è revocabile se invece la persona che si dovrebbe proteggere non ha più i presupposti e se non può o non vuole partecipare ad un determinato programma neppure in parte e neppure in prospettiva e/o se non rientra tra i potenziali destinatari del programma oppure se non è attivo uno specifico programma al quale possa concretamente accedere.
Affinché il sistema possa concretamente operare si esige perciò che in ogni luogo vi siano da parte dei soggetti pubblici e privati coinvolti una elevata attenzione alla realtà dell’immigrazione locale, una elevata e costante collaborazione interistituzionale, una fantasia di progettazione e una capacità di adeguare tempestivamente i programmi ai diversi bisogni e alla diversificata tipologia delle potenziali vittime straniere della criminalità organizzata.
E’ infatti un permesso di soggiorno che è concretamente rilasciabile soltanto se i soggetti pubblici e privati operanti su un determinato territorio si siano preventivamente accordati per sgominare determinati fenomeni criminali di violenza o di grave sfruttamento a danno di stranieri e per far svolgere e finanziare una ben determinata attività di assistenza e di integrazione per sostenere ben determinate vittime straniere.
Occorre perciò evitare il rischio di elaborare soltanto programmi mirati ad assistere una tipologia di vittime potenziali (p.es. soltanto per le vittime dello sfruttamento della prostituzione) e di trascurare di elaborare programmi mirati a sostenere anche altri tipi di stranieri potenziali destinatari vittime di violenze o di grave sfruttamento (p. es. i lavoratori, i mendicanti, le persone trafficate, i detenuti condannati per reati compiuti durante la minore età)
In realtà nella pratica i programmi utilizzabili (soprattutto per la prostituzione) esistono e funzionano abbastanza bene, sussistono piuttosto problemi nell’applicazione dell’art. 18 T.U., che hanno ricadute anche sulla realizzazione dei programmi stessi.
In ogni caso occorre ricordare che alla luce del nuovo reato di ingresso o soggiorno in condizione irregolare il tempestivo accesso al programma e al contestuale permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 18 T.U. è fondamentale per la non punibilità della persona che si trovi irregolarmente sul territorio nazionale e per la sua inespellibilità, il che però appare in concreto più vincolato non tanto all’attività dei servizi sociali, quanto ai servizi di polizia e alle Procure incaricate di perseguire il nuovo reato (in proposito si veda il par. 9)”.
E’ dunque necessario che le associazioni e gli enti locali che vogliono prestare effettivamente la loro solidarietà agli immigrati deportati da Rosarno promuovano con la massima rapidità programmi di protezione sociale e raccolgano le loro denunce sullo sfruttamento che hanno subito, con nomi, cognomi,date e luoghi, e se possibile incrociando testimonianze diverse, in modo da portare sul banco degli imputati quegli imprenditori rosarnesi che oggi pensano di averla fatta franca, ed in modo anche da conferire uno status legale agli immigrati che altrimenti sarebbero espulsi. Nessuno dei testimoni dei soprusi subiti a Rosarno deve essere espulso, perché ciascun immigrato allontanato costituirà una sorta di garanzia di impunità per quei datori di lavoro che continuano lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo in Calabria come nelle altre regioni meridionali. Anche la magistratura dovrà valutare tutte le possibilità offerte dalla normativa vigente per il riconoscimento di un permesso di soggiorno ai migranti cacciati da Rosarno, anche al fine di raccogliere gli elementi di prova per accertare sino in fondo le responsabilità di quanto successo. Un aspetto marginale, forse, per il ministro dell’interno e per il suo governo. Un punto decisivo per l’affermazione dello stato di diritto non dell’autoritarismo di stato.
Nello stesso documento dell’ASGI si rilevava come “l’introduzione del reato di permanenza illegale dello straniero extracomunitario introdotto dalla legge n. 94/2009 (pacchetto sicurezza) ha inoltre avuto effetti controproducenti nella lotta alla schiavitù lavorativa e al lavoro nero. Infatti nella prassi amministrativa e giudiziaria accade che il lavoratore straniero irregolare che pure denunzia il suo sfruttatore sia comunque intanto sottoposto ad una sanzione penale con procedimento direttissimo e sia altresì espulso, mentre l’azione penale relativa al denunziato sfruttamento segue il suo lento ed incerto corso, risultando alla fine magari archiviata a seguito dell’avvenuta esecuzione dell’espulsione dello straniero. In realtà una diversa applicazione delle norme vigenti, ed una interpretazione non restrittiva delle disposizioni di cui al citato art. 18, già ora consentirebbe un’azione immediata ed efficace: lo stesso procuratore della Repubblica che riceve la denunzia di sfruttamento lavorativo potrebbe richiedere al Questore il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale in favore del lavoratore sfruttato (art. 18 d. lgs. n. 287/1998) e contestualmente rigettare la richiesta di rinvio a giudizio per il reato di permanenza illegale, essendo così divenuta legale la presenza dello straniero. Non può sfuggire a nessuno come in una tale situazione il grado di impunità in cui operano le organizzazioni criminali sia elevatissimo e che il tentativo di reagire per vie legali venga, a buona ragione, percepito dalle vittime come un tentativo velleitario ed anzi dannoso perché espone l’interessato a danni ulteriori e persino maggiori”.
Il 30 giugno 2009 è stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea la Direttiva 2009/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 giugno 2009, che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. Il termine di attuazione della direttiva, che pure contiene disposizioni precise e vincolanti, non è ancora scaduto, ma anche se non è facile argomentare la sua immediata efficacia nel nostro ordinamento, quanto affermato nella direttiva costituisce un sicuro criterio di interpretazione per il giudice, ed a maggiore ragione per il governo che entro il giugno 2011 dovrebbe darne attuazione in Italia. Una attuazione che potrebbe essere anticipata, anche in via amministrativa, vista la gravità della situazione a Rosarno e non solo a Rosarno, perché sono centinaia i luoghi in Italia nei quali i migranti sono sottoposti a forme di sfruttamento servile o schiavistico come quello che è stato documentato in questi giorni di rivolta in Calabria.
La direttiva “sanzioni” impone agli Stati membri la introduzione di sanzioni penali contro i datori di lavoro che sfruttano in nero gli immigrati La normativa italiana, in particolare, non prevede ancora il pagamento degli emolumenti dovuti agli immigrati irregolari. La Direttiva (articolo 4) obbliga i datori di lavoro a: a) chiedere che un cittadino di un paese terzo, prima di assumere l’impiego, possieda e presenti al datore di lavoro un permesso di soggiorno valido; b) tenere una copia o registrazione del permesso di soggiorno o altra autorizzazione di soggiorno a disposizione delle autorità competenti degli Stati membri, a fini di un’eventuale ispezione; c) informare le autorità competenti designate dagli Stati membri dell’inizio dell’impiego di un cittadino di un paese terzo. Le sanzioni previste per i datori di lavoro (art. 5) includono sanzioni finanziarie, che aumentano a seconda del numero di cittadini di paesi terzi assunti illegalmente, e pagamento dei costi di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi assunti illegalmente, nei casi in cui siano effettuate procedure di rimpatrio (gli Stati membri possono decidere che le sanzioni finanziarie di cui alla lettera riflettano almeno i costi medi di rimpatrio). Lo stesso art. 5 lascia agli Stati membri la facoltà di prevedere sanzioni finanziarie ridotte nei casi in cui il datore di lavoro sia una persona fisica che impiega a fini privati un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare e non sussistano condizioni lavorative di particolare sfruttamento.
Gli Stati membri garantiscono inoltre che il datore di lavoro sia responsabile del pagamento (art. 6) della retribuzione arretrata ai cittadini di paesi terzi assunti illegalmente, delle imposte e contributi previdenziali dovuti in caso di assunzione legale, nonché di tutti i costi derivanti dal trasferimento delle retribuzioni arretrate al paese in cui il lavoratore assunto illegalmente ha fatto ritorno. Altre sanzioni (art. 7) riguardano l’esclusione, per un certo periodo, dal beneficio di prestazioni, sovvenzioni o aiuti pubblici, compresi i fondi dell’Unione europea, nonché dalla partecipazione ad appalti pubblici, e la chiusura temporanea o permanente degli stabilimenti. Per reati di una certa gravità (art. 9), la direttiva prevede anche delle generiche “sanzioni penali efficaci, proporzionate e dissuasive” (art. 10) nei confronti dei datori di lavoro.
Con questa direttiva gli immigrati prima di essere espulsi hanno dunque diritto ad ottenere quanto hanno guadagnato lavorando in nero nel periodo nel quale hanno soggiornato irregolarmente. Altro elemento importante della direttiva è la definizione di salario che equipara la paga dovuta all’immigrato irregolare alla retribuzione di un lavoratore regolare. Nella direttiva manca la previsione di una regolarizzazione di massa dei lavoratori migranti irregolari, perché si è riconosciuto che tali provvedimenti rimangono nella competenza dei singoli stati europei, che dunque, se decidono di procedere a regolarizzazioni, non possono invocare strumentalmente l’esigenza di una “autorizzazione” dell’Unione Europea, restando solo obbligati ad una preventiva notificazione dei provvedimenti di regolarizzazione, cosa che l’Italia ha fatto ancora nel 2009, ma solo per una categoria troppo limitata di immigrati irregolari, collaboratrici domestiche e badanti.
Oggi, dopo i fatti di Rosarno occorre un provvedimento urgente che dia applicazione almeno ai pochi aspetti positivi della direttiva comunitaria sulle sanzioni ai datori di lavoro in nero e consenta la regolarizzazione di tutte le vittime della pulizia etnica di Rosarno sulla base di una lettura della normativa nazionale conforme ai criteri comunitari. E poi bisogna impegnarsi per una regolarizzazione successiva a regime di tutti i lavoratori stranieri irregolari impegnati in agricoltura, in edilizia e nei servizi, anche a fronte della crescita esponenziale degli infortuni sul lavoro che vede sempre più esposti, senza alcuna tutela i cd. “clandestini”. tanto utili ai datori di lavoro, quanto maledettamente “fastidiosi” per gli abitanti delle nostre città, grandi o piccole che siano, come dimostra l’esperienza di Rosarno, probabile nuovo caposaldo, dopo Lampedusa, della lega Nord nelle regioni meridionali.
Chiediamo ai giudici, agli operatori istituzionali, ai rappresentanti politici ed alle amministrazioni locali di interpretare ed applicare le norme già vigenti in materia di grave sfruttamento lavorativo ai danni di immigrati irregolari ( e tra questi ce ne sono anche di appartenenti all’Unione Europea come i rumeni) in conformità con le Convenzioni internazionali in materia di lavoro e con le Direttive Comunitarie in materia di rimpatri e di sanzioni ai datori di lavoro in nero. Normative che, per quanto assai restrittive, prevedono garanzie più ampie di quelle finora riconosciute, nei fatti, ai lavoratori stranieri irregolari, per i quali non si è capaci di offrire altra alternativa se non l’internamento nei CIE e quindi la successiva espulsione, o ancora una volta una fuga nella clandestinità in modo da alimentare altro sfruttamento.
Toccherà poi alla capacità di riaggregazione dei migranti e delle reti antirazziste che si stanno ricostituendo promuovere un movimento nazionale che, attraverso una mobilitazione permanente e scadenze di lotta coordinate sull’intero territorio, esprima una capacità negoziale tale da imporre l’abbandono della legge Bossi-Fini, l’apertura di canali di ingresso legale, la fine dei respingimenti collettivi in mare e la regolarizzazione permanente di tutti i lavoratori migranti irregolari presenti in Italia. Senza dimenticare le migliaia di potenziali richiedenti asilo che rimangono rinchiusi nei lager libici finanziati dall’Italia e dall’Unione Europea.