Il cittadino nigeriano omosessuale ha diritto alla protezione internazionale

L’omosessualità è considerata reato in Nigeria punibile, in base al Same sex marriage prohibition act del 2014, con reclusione fino a 14 anni per chi contrae matrimonio o unione civile gay e 10 anni per chi rende pubblica la propria relazione omosessuale.

La VI sezione civile della Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di un cittadino nigeriano, difeso dagli avvocati di Progetto Diritti Andrea Vitale e Mario Angelelli, che aveva presentato domanda di protezione internazionale in quanto era stato vittima di persecuzione nel proprio Paese di origine a causa della scoperta di un rapporto omosessuale consumato in clandestinità.

Tanto il Tribunale che la Corte di Appello di Ancona avevano in precedenza rigettato la domanda del richiedente asilo, con la motivazione che il suo racconto si presentava non credibile, perché generico e contraddittorio. Il Tribunale e la Corte non ravvisavano inoltre le condizioni per concedere la protezione sussidiaria poiché non sussisterebbe il pericolo di danno grave alla popolazione civile non essendovi una situazione di violenza indiscriminata e diffusa che coinvolga anche l’Edo State dal quale il ricorrente proviene.

Nel ricorso per cassazione veniva sottolineato come il richiedente asilo dinnanzi alla Commissione Territoriale di Roma – Ancona 2 avesse compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la sua domanda, con dichiarazioni coerenti e plausibili, rispettando pertanto i criteri di cui all’art. 3 D.Lgs 251/07 (il cosiddetto principio dell’onere della prova attenuato). In particolare il difensore del richiedente asilo aveva affermato che la parziale reticenza, dovuta invece a pudore e vergogna e la scarsa consapevolezza di cosa sia l’omosessualità, fosse dipesa dalla cultura e dal contesto sociale della Nigeria, ove i rapporti gay sono mal tollerati se non repressi con estrema durezza ove si manifestino in atti di natura sessuale. Veniva così sottolineato nel ricorso per cassazione che fosse anche compito del Giudice valutare una domanda di asilo sulla base di un determinato contesto sociale e culturale (in Nigeria l’omosessualità è un tabù anche solo come argomento di discussione e il richiedente asilo aveva raccontato di aver avuto rapporti omosessuali per denaro, in quanto povero e di essere stato scoperto e denunciato).

Inoltre dinnanzi alla Corte di Cassazione veniva avanzata dal legale del ricorrente la richiesta di riconoscimento della protezione sussidiaria e dei motivi umanitari affermandosi che in Nigeria vi fosse una situazione di violenza indiscriminata e di mancato rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo, sintomatici per l’incolumità del richiedente asilo. La Corte di Cassazione riteneva fondati tutti i motivi contenuti nel ricorso, sottolineando come la Corte di Appello di Ancona si fosse sottratta al necessario e preliminare scrutinio dei criteri legali previsti dall’art. 5 comma 3 (ragionevole sforzo nel circostanziare la domanda; non contraddittorietà delle dichiarazioni rispetto alla situazione del Paese; attendibilità estrinseca; situazione individuale e circostanze personali del richiedente; acquisizione delle informazioni sul contesto socio-politico del paese di rientro), dando importanza solo ad aspetti secondari e a irrilevanti imprecisioni nel racconto del richiedente asilo.

La Cassazione riteneva infine che in materia di protezione internazionale sia compito dell’Autorità amministrativa e del Giudicante svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, anche attraverso l’acquisizione di informazioni aggiornate sul Paese di origine. Per tali motivi veniva cassata la sentenza impugnata e rinviata la causa alla Corte di Appello di Ancona per riesaminare il caso sulla base delle indicazioni da essa espresse.

Qui l’ordinanza della VI Sezione civile della Corte di Cassazione depositata il 14/11/2017.

, , , , , , , , ,